
Con molta probabilità, nel momento di rivoluzione che stiamo vivendo, non ci troviamo ancora nella posizione di definire e analizzare i nuovi paradigmi delle attuali relazioni internazionali. Nonostante il contesto in cui viviamo abbia subito (e quotidianamente continua a subire) delle modifiche sostanziali nel sistema di relazioni che intercorrono tra gli stati e tra le grandi potenze, probabilmente la definizione di un nuovo standard di dialogo è ancora lontana dall’essere esprimibile. Un’analisi di questo tipo, fatta nella congiuntura attuale, soffrirebbe ancora di molti elementi e dati mancanti. Primo fra tutti il ruolo che gli Stati Uniti e l’Unione Europea giocheranno nella risoluzione del conflitto tra Russia e Ucraina, oltre sicuramente al peso che la politica commerciale dettata dal Presidente Donald Trump potrà avere sui mercati internazionali. Sul continente europeo, nelle cancellerie e tra le istituzioni dell’Unione Europea, ci sarà poi da considerare il peso che le politiche di riallineamento, primo fra tutti il programma ReArm Europe, avranno nel prossimo futuro. Se, quindi, i tempi di un’analisi dettagliata che possa delineare nuovi schemi di interpretazione e di indagine non sono ancora maturi, si possono comunque iniziare a mettere insieme tutti gli elementi che, in futuro, questa analisi la costruiranno. Soprattutto se si punta a valutare questi scenari nell’ottica conservatrice e nell’idea di un sempre maggiore peso delle forze conservatrici all’interno delle Istituzioni Europee e nei governi degli Stati membri.
IL CONFLITTO IN UCRAINA E LA LOGICA DELLA ROTTURA
Nel conflitto iniziato con l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Mosca, al momento gli attori principali – oltre al governo e al popolo ucraino che continuano a combattere nonostante il mutato e mutevole scenario internazionale – sono certamente gli Stati Uniti di Trump, la Russia di Putin e l’Unione Europea, alla vigilia di un processo di riarmo che sembra ormai quasi inevitabile. Sono questi i punti di vista che non possono essere tralasciati in una futura analisi, soprattutto perché le mosse delle due superpotenze e dei Paesi membri dell’Unione Europea potrebbero diventare la base per la lettura delle prossime crisi internazionali. La posizione aggressiva assunta dal Cremlino già in passato con la Crimea, con il Donbass e dal 2022 con l’invasione del territorio ucraino, non può non essere presa in considerazione. Soprattutto se si guarda a quali potrebbero essere gli elementi posti su un eventuale tavolo di negoziato, che sia quello di Riyad o di un’altra sede. Certamente per Mosca, al momento, tra le priorità non c’è il termine immediato del conflitto. La speranza di Putin è sicuramente quella di potersi sedere a trattare con Kiev o con Trump da una posizione più forte. Anche un solo chilometro di territorio occupato in più, nella logica del Cremlino, ha un peso sia sul piano del conflitto, sia su quello internazionale, per non parlare della risonanza che lo stesso Putin otterrebbe in patria. C’è poi il capitolo delle sanzioni imposte alla stessa Russia in questi ultimi anni che sicuramente diverranno tema di dibattito. Basti pensare che lo stesso Trump in questi ultimi giorni è tornato ad evocarle, parlando di dazi indiretti al petrolio russo qualora Putin non rispetti la mediazione americana. Lo sguardo del tycoon è quindi sicuramente in direzione di Mosca, anche se nella logica economica incarnata da questa nuova presidenza l’importanza della Cina non può essere sottovalutata. I dazi che verranno imposti nei prossimi giorni, e che avranno sicuramente una risposta dalle grandi economie mondiali, sono ancora molto difficili da analizzare. Anche la reciprocità, messa in discussione e che potrebbe essere rivista caso per caso, sarà un fattore fondamentale per valutare i rapporti con gli Stati Uniti nel prossimo futuro. I Paesi più favoriti potrebbero soffrire meno i dazi del Presidente Trump, mentre una “scortesia diplomatica” potrebbe pesare sul portafogli di uno Stato e dei suoi cittadini. Purtroppo, in questo scenario, la risposta dei mercati e quella, ad esempio, dell’Unione Europea saranno altrettanti elementi che concorreranno a creare la prossima analisi sugli equilibri e sulle crisi nel panorama internazionale dei prossimi mesi. Le risposte dell’Unione Europea e dei Paesi membri a questi mutati scenari sono sicuramente tra gli elementi di maggiore interesse al momento. Il raffreddamento dello slancio statunitense nei confronti della sicurezza europea è il primo dei problemi cui i membri dell’Unione Europea si trovano a far fronte, quantomeno dal punto di vista della dottrina della sicurezza. Uno strumento per far fronte a questa contingenza è di certo il piano ReArm Europe, che punta al progressivo rafforzamento di una base industriale (sempre nell’ottica della difesa, ma non solo) con investimenti, sviluppo e acquisti che possano essere congiunti tra i Paesi membri. La base di una convergenza strategica che è anche legata alla composizione delle diverse dottrine militari degli eserciti europei. Non tutte le cancellerie però si pongono allo stesso modo verso questo interesse, così come non tutti i Governi sono pronti a promuovere la possibilità di un intervento diretto, ad esempio sul suolo ucraino. La stessa Italia ha infatti più volte ribadito che una qualsiasi missione deve essere cucita all’interno di un mandato internazionale superiore.
REARM EUROPE: IL DIBATTITO NELLE CANCELLERIE EUROPEE
Naturalmente le considerazioni presentate fino ad ora devono necessariamente fare i conti con la situazione interna dei singoli Paesi membri dell’UE. Il dibattito interno è da sempre quello maggiormente percepito e compreso dall’opinione pubblica, così come sono proprio le notizie interne ad essere quelle più battute dai media mainstream. Nonostante questo, nelle ultime settimane non si è potuto tralasciare, anche sul fronte interno dei singoli Stati membri, il dibattito sul programma ReArm Europe presentato dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Una questione che a livello nazionale ha diviso le maggioranze e le opposizioni, così come ha aperto divergenze anche all’interno delle stesse coalizioni di Governo. Uno dei casi che si possono portare d’esempio è quello del Governo italiano, dove posizioni diverse si sono via via cristallizzate tra i componenti della coalizione della premier Giorgia Meloni. Ma il progetto di Bruxelles in merito alla difesa e ai finanziamenti ha creato molte divergenze anche in altre cancellerie europee. Nei Paesi Bassi, ad esempio, la situazione è arrivata al punto in cui il Parlamento di Amsterdam ha votato in senso contrario al progetto della von der Leyen: con due voti di scarto i parlamentari hanno imposto al primo ministro Dick Schoof (favorevole alle linee guida di Bruxelles) di bloccare la partecipazione dei Paesi Bassi. Una votazione questa che ha visto il sostegno anche dei partiti della coalizione di Governo; tranne i liberali, che invece si sono detti favorevoli alle idee della von der Leyen. L’idea alla base è stata quella che le spese per la difesa non possano diventare materia congiunta con altri Paesi membri, ma che debbano invece restare delle risorse da maneggiare a livello strettamente nazionale. Anche in Spagna, con il governo di Pedro Sánchez, si è parlato di una spaccatura sul tema di ReArm Europe tra il Partito Socialista, pronto a sottoscrivere le linee guida di Bruxelles, e la coalizione di sinistra Sumar, molto più scettica. Sia Podemos che Izquierda Unida, infatti, hanno espresso le loro posizioni contrarie, appoggiati anche dai partiti legati alla regione catalana e a quella galiziana. C’è poi il caso della Francia, dove il premier Macron sostiene apertamente la necessità di aumentare gli investimenti nel campo della difesa, mentre i partiti di opposizione si sono schierati su un fronte molto più dubbioso sul da farsi. Nel centro dell’Europa, opinione pubblica e partiti hanno manifestato posizioni piuttosto favorevoli nei confronti delle politiche messe sul tavolo da Bruxelles. Eccezioni a riguardo sono l’Ungheria e la Slovacchia, ma se guardiamo alla Germania possiamo osservare che il dibattito parlamentare ha dato il via (a larga maggioranza) alla modifica della costituzione che permetterebbe la creazione di debito per investire in infrastrutture e spese militari. Una votazione sulla quale non ci sono state sorprese da parte dei partiti della coalizione che sostiene il Governo. Sicuramente, in conclusione, è su questa congiuntura che si gioca il futuro dell’Unione Europea, soprattutto sotto il profilo del suo sviluppo e del progressivo allentamento.