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L’Iran affronta le elezioni: una sfida a Khamenei?

Politica - Marzo 1, 2024

La Repubblica Islamica verso le elezioni legislative

Nella prima settimana di marzo anche l’Iran andrà a votare contribuendo a rendere il 2024 uno degli anni con il maggior numero di consultazioni elettorali. Sebbene sia certamente riconosciuto come un Paese che non è una grande democrazia liberale, tuttavia gioca un ruolo fondamentale nello scacchiere geopolitico dove si trova nel campo opposto all’Occidente.

Sia il Parlamento che l’Assemblea degli Esperti vanno al voto; sono gli unici organi che hanno l’autorità di votare per l’elezione o la destituzione della Guida Suprema. Tuttavia, l’elenco dei membri eletti deve essere approvato dall’Ayatollah prima che possano esercitare il loro potere. L’Assemblea dura in carica 8 anni ed è un organo fiduciario che probabilmente riconfermerà Ali Khamenei, che quest’anno compirà 85 anni.

Le elezioni parlamentari, tuttavia, sono particolarmente importanti: nel 2020 i conservatori guidati da Gholam-Ali Haddad-Adel, che governano il Parlamento, l’Assemblea degli Esperti e il Consiglio dei Guardiani della Costituzione, hanno vinto a valanga. In sostanza, governano completamente il Paese, dopo aver ampiamente sconfitto i riformisti di Hassan Rouhani, che ha presieduto la Repubblica dal 2013 al 2021, succedendo a Mahmud Ahmadinejad. Oggi, sebbene Gholam-Ali continui a guidare i conservatori, il presidente è Ebrahim Raisi, che nel 2021 ha vinto con il 62% dei voti ed è considerato il principale candidato a succedere a Khamenei.

È importante tenere presente che i conservatori iraniani sono forze politiche molto rigide. Sono ostili agli Stati Uniti e all’Occidente e sono fondamentalisti islamici. Sono anche i discendenti della rivoluzione iraniana, che ha rovesciato lo Scià di Persia e ha instaurato l’attuale teocrazia. D’altra parte, i Riformatori sono sempre stati più inclini al dialogo e hanno cercato di migliorare le relazioni. Pertanto, dobbiamo guardare alla politica iraniana da una prospettiva diversa da quella a cui siamo abituati.

Va notato che non ci sono sondaggi disponibili per prevedere i possibili risultati delle elezioni. Tuttavia, ciò che è interessante è il numero di candidati che si sono registrati per candidarsi al Parlamento. La finestra di registrazione è rimasta aperta per soli 7 giorni, eppure sono state ricevute ben 48.847 candidature, stabilendo un record assoluto. Di queste candidature, il 75% aveva meno di 50 anni e 1.713 erano donne, ovvero più del doppio del numero di donne che si sono candidate nel 2020 (819). Nonostante l’elevato numero di candidature, solo 15.200 sono state approvate a causa del rigido processo di filtraggio da parte del Consiglio dei Guardiani. Si ritiene che il 20-30% delle candidature approvate appartengano ai candidati riformisti.

Si prevede che l’affluenza alle urne sarà bassa sia per le proteste che per la paura della repressione. Tuttavia, è degno di nota il fatto che il popolo iraniano abbia assunto una posizione forte per cambiare il panorama politico del proprio Paese attraverso l’attivismo.

L’attivismo è certamente influenzato dalla grande ondata di proteste che ha fatto seguito all’uccisione di Mahsa Amini, proteste che

 

sono in corso da più di un anno, essendo iniziati il 16 settembre 2022 e non si sono ancora conclusi. Ci sono stati oltre 18.000 arresti e purtroppo sono morte più di 500 persone – militari e civili – tra cui 60 bambini.

Tale coinvolgimento popolare avrà ovviamente le sue ripercussioni elettorali e non si può assolutamente escludere, al contrario, che i riformisti che avranno il coraggio di andare a votare sceglieranno tra i 5.000 candidati ammessi alle elezioni, potendo così canalizzare più facilmente il voto. Nel 2013 Rouhani ha vinto al primo turno con il 52,49%, bissando il successo nel 2017 con il 58,85%; nel 2016 i riformisti avevano la maggioranza relativa in Parlamento.

 

Vittorie per i Riformisti, quindi, non sono impossibili, anche in una situazione complessa come quella iraniana: molto dipenderà dalla possibilità per l’elettorato di recarsi alle urne e votare i propri candidati, nel qual caso è chiaro che anche la successione di Khamenei – se Raisi dovesse uscirne indebolito – diventerebbe sempre più complicata e sarebbe una prima complicazione per i Paesi non allineati.