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Studio ECR: Garantire l’approvvigionamento – Ripensare l’energia in un’Europa che cambia

Energia - Dicembre 31, 2025

Per decenni, l’Europa ha preferito l’energia a basso costo alla sicurezza, perché gli europei hanno trattato le fonti energetiche come una merce. Quando il rubinetto del gas è stato chiuso, il vecchio continente ha scoperto che la dipendenza non è solo un problema economico, ma anche di sicurezza, perché la crisi energetica che stiamo attraversando ha cambiato completamente le regole del gioco. Per la gente comune, il gas passava attraverso le condutture, l’elettricità si accendeva premendo un interruttore e le bollette, anche se a volte un po’ salate, sembravano una parte naturale della vita moderna.

L’idea che l’energia possa diventare un problema di sicurezza, paragonabile alla difesa o alla politica estera, sembrava esagerata, se non addirittura allarmistica, qualche anno fa. Tuttavia, lo studio “Securing Supply: Rethinking Energy in a Changing Europe” mostra quanto sia cambiata radicalmente questa percezione e quanto il continente europeo fosse impreparato al momento in cui l’energia sarebbe diventata un’arma geopolitica. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, iniziata nel febbraio 2022, è stata una vera e propria scossa elettrica per l’intero continente europeo. In un solo inverno, l’Europa ha scoperto che la sua dipendenza energetica non è solo un problema economico, ma anche esistenziale. I gasdotti ancorati nel cuore della Russia sono stati a lungo considerati simboli di cooperazione e interdipendenza, ma purtroppo si sono trasformati in una notte in strumenti di pressione politica. I governi europei sono stati presi dal panico quando i prezzi sono saliti alle stelle e i cittadini hanno iniziato a chiedersi se la loro sicurezza potesse essere ancora garantita in un mondo in cui l’energia è sempre più utilizzata come mezzo di ricatto.

Lo studio condotto dal Partito ECR parte da una semplice ma scomoda constatazione, ovvero che il modello energetico europeo, costruito sull’idea di libero mercato, efficienza economica e cooperazione internazionale, ha sistematicamente ignorato i rischi geopolitici. Per decenni, i Paesi europei hanno preferito un’energia più economica senza chiedersi con sufficiente serietà cosa sarebbe successo se il fornitore fosse diventato ostile. La Federazione Russa era vista dai leader europei come un partner difficile ma prevedibile, ma la realtà ha dimostrato il contrario.

Prima dello scoppio del conflitto ucraino, la maggior parte dei Paesi dell’Europa centrale e orientale (molti dei quali facevano parte dell’ex blocco sovietico) dipendeva fortemente dal gas russo. Questa dipendenza non era solo tecnica ma anche politica, perché gli impegni commerciali a lungo termine, le infrastrutture costruite in un’unica direzione e la mancanza di alternative creavano una vulnerabilità strutturale. Quando le forniture di gas venivano ridotte o addirittura interrotte (vedi il caso del gasdotto Nord Stream), gli effetti economici si facevano sentire immediatamente, non solo nell’industria ma anche nelle case di ogni cittadino europeo. Così, la parola “energia” è diventata improvvisamente un argomento di discussione quotidiano e la sicurezza energetica è entrata nel vocabolario del discorso pubblico.

Dal libero mercato allo Stato protettivo

Uno degli aspetti più interessanti dello studio “Securing Supply: Rethinking Energy in a Changing Europe” è il modo in cui descrive il cambiamento di paradigma della politica energetica europea. Mentre in precedenza l’accento era posto sulla liberalizzazione del mercato dell’energia, sulla concorrenza e sulla minimizzazione del ruolo dello Stato come attore attivo nel mercato, la crisi energetica ha imposto un ritorno spettacolare all’intervento pubblico. Per evitare il collasso sociale, i governi sono stati costretti a fissare un tetto massimo ai prezzi, a sovvenzionare le bollette sia per le aziende che per la popolazione, a nazionalizzare o salvare le aziende energetiche e a intervenire direttamente sul mercato. Questo ritorno dello Stato è stato una necessità, non il risultato di un’ideologia. Lo studio mostra chiaramente che, in tempi di crisi profonda, il mercato da solo non può garantire la sicurezza dell’approvvigionamento perché la logica del profitto è in conflitto diretto con l’esigenza di stabilità. I governi sono stati quindi costretti a scegliere tra il dogma del libero mercato e la protezione dei cittadini e, in quasi tutti i casi, la scelta è stata chiara.

Tuttavia, questo intervento massiccio da parte dei governi solleva domande difficili su cosa ci riservi il futuro. Quanto è sostenibile un modello in cui lo Stato diventa il garante ultimo della sicurezza energetica dei cittadini? Come si possono proteggere i consumatori senza scoraggiare gli investimenti? E, cosa forse più importante, come può l’Europa evitare di ripetere lo stesso errore sostituendo una dipendenza con un’altra?

“Garantire l’approvvigionamento: Rethinking Energy in a Changing Europe” sottolinea che la diversificazione delle fonti energetiche è diventata una priorità assoluta per tutti i governi europei. Le importazioni di gas naturale liquefatto nell’UE, lo sviluppo di progetti di energia rinnovabile e gli investimenti in infrastrutture e interconnessioni non sono presentati come opzioni ecologiche o economiche, ma come elementi di sicurezza nazionale. In questo contesto, l’energia verde non è più solo un progetto per il futuro: è una necessità strategica. Allo stesso tempo, la ricerca ci avverte che la transizione energetica non è priva di rischi perché la dipendenza da nuove tecnologie, materie prime critiche (la maggior parte delle quali viene estratta in altri continenti) e catene di approvvigionamento globali (vedi la dipendenza dei Paesi europei dalla tecnologia importata dai Paesi asiatici, una tecnologia con costi di produzione molto più bassi) può creare vulnerabilità diverse ma ugualmente pericolose. L’Europa rischia di sostituire la sua dipendenza dal gas russo a basso costo con una dipendenza dai metalli rari o dalla produzione asiatica di tecnologie verdi. Ciò che dobbiamo imparare da questa crisi è che la sicurezza energetica non può essere costruita su un’unica soluzione miracolosa.

Il costo invisibile dell’energia: chi sta pagando la crisi?

Lo studio “Garantire l’approvvigionamento: Ripensare l’energia in un’Europa che cambia” insiste, al di là di grafici, strategie e politiche pubbliche, sulla dimensione sociale della crisi energetica che l’Europa sta attraversando. Dobbiamo ammettere che l’aumento dei prezzi dell’energia non è un fenomeno astratto, ma un fenomeno che colpisce direttamente la vita quotidiana delle persone. Le bollette sempre più alte hanno costretto milioni di europei a fare scelte dolorose. Hanno dovuto scegliere tra il pagamento delle bollette del riscaldamento e l’acquisto di cibo, tra dare la priorità al pagamento dell’elettricità o utilizzare il proprio denaro per altri bisogni primari. Da questo punto di vista, possiamo dire che l’energia è diventata non solo un problema di sicurezza, ma anche di giustizia sociale.

Le ricerche dimostrano inoltre che l’impatto della crisi energetica è stato distribuito in modo disomogeneo: le famiglie a basso reddito, gli edifici poco isolati e le regioni meno sviluppate sono stati colpiti in modo sproporzionato. In molti casi, le politiche di sostegno del governo sono state insufficienti o poco mirate, lasciando esposti i segmenti più vulnerabili della popolazione, e questa realtà rischia di alimentare il malcontento sociale e di minare il sostegno pubblico alla transizione energetica. Lo studio avverte inoltre che senza un approccio che combini la sicurezza energetica con l’equità sociale, le politiche europee rischiano di perdere la loro legittimità. Pertanto, una transizione che viene percepita dai cittadini come ingiusta può generare opposizione, populismo e instabilità politica perché l’energia, che un tempo era una questione tecnica, ora sta diventando un importante fattore di polarizzazione sociale.

Un altro costo invisibile della crisi è l’erosione della fiducia che si verifica quando i cittadini ritengono che lo Stato reagisca in modo caotico o talvolta tardivo, che le misure governative siano incoerenti o che l’onere sia distribuito in modo iniquo, perché la fiducia dei cittadini nelle istituzioni statali diminuisce. Lo studio suggerisce che questa perdita di fiducia da parte dei cittadini comuni può avere conseguenze a lungo termine e influenzare sia la politica energetica che la capacità degli Stati di gestire eventuali crisi future.

Un’Europa più sicura o un’Europa più prudente?

In definitiva, “Garantire l’approvvigionamento: Rethinking Energy in a Changing Europe” non ci offre né soluzioni semplici né facili promesse. Il messaggio centrale dello studio, condotto a metà dicembre 2025, è che l’Europa si trova a un punto di svolta e che la crisi energetica che stiamo vivendo ha rivelato profonde vulnerabilità, ma ha anche creato una rara opportunità per ripensare radicalmente il rapporto tra energia, sicurezza e società civile.

Sembra che l’Europa abbia imparato la dolorosa lezione della sua dipendenza dal gas russo, ma resta da vedere se avrà la volontà politica di costruire un sistema energetico veramente resiliente. Siamo tutti d’accordo sul fatto che ciò richiede investimenti massicci (sia in termini di risorse finanziarie che umane), una buona cooperazione tra gli Stati membri dell’UE, l’accettazione di costi più elevati nel breve termine e, cosa forse più difficile di tutte, l’onestà da parte dello Stato nei confronti dei suoi cittadini. Una cosa è chiara: la sicurezza energetica non è gratuita; la protezione ha un prezzo e non può più essere trattata come un semplice bene di consumo. L’energia è e rimarrà un’infrastruttura critica, uno strumento geopolitico e un fattore di coesione sociale e il modo in cui l’Europa gestirà questa realtà influenzerà non solo l’economia e l’ambiente, ma anche la stabilità politica e la fiducia dei cittadini nel progetto europeo. Se dovessimo trarre una conclusione chiara dallo studio, potremmo dire che in un’Europa in cui le certezze si stanno sgretolando una dopo l’altra, l’energia è diventata una prova di maturità politica e la sicurezza energetica non si costruisce solo con oleodotti, parchi eolici e pannelli solari, ma con la fiducia, la solidarietà e la visione a lungo termine. Quando discutiamo del grande tema della sicurezza energetica, non parliamo solo di avere luce e calore nelle nostre case, ma della capacità di una società di proteggersi, adattarsi e rimanere unita.