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La Dichiarazione di New York è una nuova strada per la stabilità del Medio Oriente?

Conflitti in Medio Oriente - Agosto 6, 2025

La cosiddetta “Dichiarazione di New York”, redatta nel corso della conferenza internazionale presso le Nazioni Unite lo scorso luglio e sostenuta da un ampio fronte di attori internazionali tra cui l’Unione Europea, la Lega Araba, il Regno Unito e il Canada, potrebbe rappresentare una svolta diplomatica molto importante nel lungo e travagliato conflitto israelo-palestinese. L’elemento che distingue questo documento da precedenti tentativi di mediazione è il suo carattere bilaterale nella condanna: da un lato, si esplicita una forte critica verso gli attacchi del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas; dall’altro, si denuncia apertamente la risposta militare israeliana, ritenuta sproporzionata e causa di una catastrofe umanitaria a Gaza. Al centro del documento si colloca un piano articolato per il disarmo di Hamas, la transizione amministrativa verso l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e il rilancio della soluzione dei due Stati, sostenuta da una missione internazionale sotto l’egida dell’ONU. Il contenuto della dichiarazione è sicuramente da analizzare e da prendere in considerazione, soprattutto per cercare di prevedere quale sarà la sua portata politica e le implicazioni per il futuro della questione israelo-palestinese.

IL CONTESTO DELLA DICHIARAZIONE

La “Dichiarazione di New York”, resa pubblica al termine della conferenza ONU co-presieduta da Francia e Arabia Saudita, rappresenta un passo significativo nella diplomazia multilaterale riguardante il conflitto israelo-palestinese. Dopo mesi di devastazioni a Gaza e tensioni internazionali crescenti, la comunità internazionale ha riconosciuto l’urgenza di superare la retorica e promuovere una piattaforma condivisa con lo scopo ultimo di riavviare il processo di pace. La dichiarazione ha ricevuto il sostegno di 22 Paesi della Lega Araba, dell’Unione Europea e di altre 17 nazioni, tra cui l’Italia. Essa non solo condanna i crimini perpetrati da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre 2023, ma introduce una condanna esplicita e senza ambiguità dell’azione militare israeliana sulla Striscia di Gaza, ritenuta responsabile di decine di migliaia di vittime civili e di una crisi umanitaria senza precedenti.

LA DOPPIA CONDANNA: VERSO UN EQUILIBRIO DIPLOMATICO

Il primo elemento di interesse riguarda la doppia condanna contenuta nella Dichiarazione di New York. Da una parte, il documento afferma chiaramente: “Condanniamo gli attacchi commessi da Hamas contro i civili il 7 ottobre”. Si tratta di una presa di posizione rilevante, soprattutto considerando che per la prima volta anche la Lega Araba si è espressa senza riserve contro Hamas, rompendo un silenzio che in passato aveva spesso alimentato ambiguità. Dall’altra parte, il documento critica apertamente la risposta israeliana: “Condanniamo gli attacchi di Israele contro i civili a Gaza, le infrastrutture civili, l’assedio e la fame, che hanno provocato una devastante catastrofe umanitaria”. Questa formulazione, anch’essa priva di attenuanti, evidenzia come l’azione israeliana venga percepita, anche dagli alleati storici, come eccessiva e incompatibile con i principi del diritto internazionale umanitario. Questa doppia condanna rappresenta una svolta nei toni e nelle intenzioni della diplomazia internazionale, che in passato tendeva a concentrarsi quasi esclusivamente sulla condanna del terrorismo palestinese, lasciando in ombra le responsabilità israeliane. La Dichiarazione di New York, al contrario, cerca di ristabilire un equilibrio etico e giuridico nel giudizio sulle violenze in corso.

IL DISARMO DI HAMAS E IL RUOLO DELL’AUTORITÀ PALESTINESE

Un altro punto centrale del documento è la richiesta esplicita del disarmo di Hamas. Il punto 11 recita: “Per arrivare alla conclusione della guerra nella Striscia, Hamas deve porre fine al suo dominio a Gaza e consegnare le armi all’Autorità Nazionale Palestinese, con l’impegno e il sostegno internazionale”. Questa clausola è significativa sotto molteplici aspetti. In primo luogo, sancisce la volontà della comunità internazionale di riaffermare l’Autorità Palestinese come unico soggetto legittimo per la rappresentanza politica e amministrativa dei palestinesi. In secondo luogo, la condizione del disarmo non viene lasciata a una dinamica bilaterale, ma posta all’interno di un quadro multilaterale che prevede il coinvolgimento diretto dell’ONU, il supporto regionale e l’eventuale impiego di truppe internazionali. È altrettanto importante sottolineare come il documento preveda una missione temporanea di stabilizzazione internazionale – sotto il mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – per proteggere i palestinesi, supervisionare il trasferimento dell’amministrazione all’ANP e monitorare il cessate il fuoco. Questa missione rappresenterebbe una novità concreta nel panorama della gestione postbellica a Gaza, coinvolgendo anche Paesi come l’Italia nella fornitura di truppe.

LA SOLUZIONE DEI DUE STATI: TRA REALISMO E AMBIZIONE

Al cuore della Dichiarazione si trova il rilancio della soluzione dei due Stati come orizzonte politico irrinunciabile. Il documento invita esplicitamente gli Stati membri dell’ONU a riconoscere lo Stato di Palestina, richiamando un processo graduale ma vincolante verso la creazione di un’entità statuale palestinese sovrana e indipendente. In questo contesto, l’iniziativa di Francia e Regno Unito assume un valore simbolico e strategico. Emmanuel Macron ha annunciato che la Francia sarà il primo Paese del G7 e membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina durante la prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Analogo impegno è stato assunto dal Regno Unito, che ha legato il riconoscimento alla disponibilità israeliana ad accettare un cessate il fuoco e ad avviare un processo di pace entro otto settimane. Il sostegno alla soluzione dei due Stati è dunque espresso non solo a parole, ma anche attraverso misure diplomatiche concrete. Attualmente, 147 membri dell’ONU hanno già riconosciuto lo Stato di Palestina; l’adesione di potenze occidentali di primo piano si pensa potrebbe rompere il fronte dell’opposizione israeliana e spingere verso un riequilibrio geopolitico.

IL RIFIUTO ISRAELIANO E L’ASSENZA STATUNITENSE

Nonostante la portata e il consenso della Dichiarazione, Israele e Stati Uniti si sono opposti all’iniziativa. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha respinto l’incontro, ribadendo la sua contrarietà alla soluzione dei due Stati, adducendo motivazioni di sicurezza e di difesa dell’identità nazionale. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno boicottato la conferenza, segnalando la loro distanza strategica rispetto all’impostazione multilaterale proposta. Queste reazioni evidenziano la persistente difficoltà di allineare le visioni politiche delle grandi potenze con quelle del resto della comunità internazionale. Tuttavia, l’isolamento diplomatico di Israele, in un momento in cui anche alcuni partner storici iniziano a riconoscere la Palestina, potrebbe generare nuove dinamiche di pressione.

UNA NUOVA FASE PER LA DIPLOMAZIA INTERNAZIONALE?

La Dichiarazione di New York potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase nella diplomazia riguardante il conflitto israelo-palestinese. Essa articola una visione complessa ma equilibrata che riconosce la responsabilità di entrambe le parti, pone fine all’ambiguità araba sul ruolo di Hamas, riafferma la centralità dell’ONU nel processo di pace e rilancia la soluzione dei due Stati come unica via percorribile. In un momento in cui il conflitto ha raggiunto livelli di devastazione senza precedenti, l’urgenza di una nuova architettura politica e diplomatica appare evidente. La dichiarazione, attraverso il sostegno di attori eterogenei – europei, arabi, occidentali e mediorientali – dimostra che esiste un terreno comune su cui costruire un consenso operativo, anche laddove le divergenze storiche sembravano insormontabili. Il successo di questa iniziativa dipenderà da molte variabili: il disarmo effettivo di Hamas, la capacità dell’ANP di gestire Gaza in maniera credibile, la disponibilità di Israele ad abbandonare l’ostilità ideologica verso lo Stato palestinese e il ruolo degli attori internazionali nel garantire il rispetto degli accordi. Sarà inoltre cruciale che la missione internazionale proposta non resti una dichiarazione di intenti, ma si traduca in una presenza concreta sul terreno, dotata di legittimità, risorse e mandato chiaro. Il sostegno di Paesi come l’Italia, che ha già manifestato la disponibilità a contribuire con truppe, è un segnale incoraggiante. Ma è essenziale che questo sforzo sia accompagnato da un sostegno finanziario sostenibile, da un impegno diplomatico costante e da una pressione coordinata su tutte le parti coinvolte affinché rispettino i principi del diritto internazionale. Tuttavia, la stessa esistenza di un documento come la Dichiarazione di New York – condiviso da un ampio e variegato fronte di nazioni – suggerisce che lo status quo non è più accettabile. La comunità internazionale ha finalmente iniziato a tracciare una strada coerente, concreta e multilaterale per superare decenni di conflitto, violenza e stallo politico. È una base nuova, che non si limita a chiedere la fine delle ostilità, ma propone un quadro politico realistico, articolato e condiviso. Che si tratti di una svolta definitiva o di una nuova illusione dipenderà ora dalla volontà delle parti e dalla determinazione della diplomazia globale. Ma per la prima volta da molti anni, la possibilità di un cambiamento strutturale appare quantomeno concepibile.