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Cosa può significare l’accordo UE-USA per il futuro dell’Europa?

Politica - Agosto 3, 2025

L’accordo commerciale recentemente sottoscritto tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti – il cui contenuto prevede l’imposizione di un’aliquota tariffaria uniforme del 15% sui beni europei esportati negli Stati Uniti, nonché un complesso pacchetto di investimenti europei e impegni di approvvigionamento energetico in favore dell’economia statunitense – costituisce un passaggio significativo nel panorama delle relazioni transatlantiche. L’intesa prevede, tra gli altri punti, l’acquisto da parte dell’Unione di circa 750 miliardi di dollari in prodotti energetici americani – in particolare gas naturale liquefatto (GNL) e combustibili nucleari – oltre a un impegno negli investimenti in settori strategici negli Stati Uniti, inclusa l’industria della difesa. Benché l’accordo sia stato presentato, in particolare da parte statunitense, come un successo diplomatico di portata storica, un’analisi più approfondita suggerisce che esso rappresenti soprattutto un’evidente manifestazione delle attuali asimmetrie di potere tra Bruxelles e Washington. L’equilibrio negoziale è apparso fortemente sbilanciato a favore della parte americana, mentre le concessioni europee – tanto in termini economici quanto simbolici – risultano più rilevanti e meno controbilanciate da vantaggi reciproci. Tale configurazione negoziale solleva interrogativi cruciali sulla capacità dell’Unione Europea di operare come attore strategico autonomo all’interno del sistema internazionale contemporaneo. In questo contesto vanno quindi analizzati criticamente i contenuti e le implicazioni dell’accordo USA-UE, esaminandone non solo l’impatto economico immediato, ma anche le conseguenze geopolitiche di medio-lungo termine. In particolare, si possono facilmente mettere in luce le fragilità strutturali che limitano l’azione esterna dell’Unione Europea, approfondendo le dinamiche interne che ostacolano una postura unitaria e coerente a livello globale. L’obiettivo è quello di individuare le direttrici strategiche attraverso cui l’Unione potrà, o dovrà, riconfigurare il proprio ruolo nel contesto internazionale, promuovendo una maggiore autonomia politica, energetica e militare rispetto alle grandi potenze.

DAZI E DIPLOMAZIA TRA EUROPA E STATI UNITI

L’accordo commerciale siglato in Scozia tra la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il Presidente statunitense Donald Trump ha ufficialmente fissato al 15% l’aliquota tariffaria per i prodotti europei che entrano nel mercato americano. Sebbene la firma dell’accordo abbia evitato un’escalation commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, il contenuto dell’intesa ha sollevato forti perplessità in Europa. La decisione di accettare dazi non reciproci, accompagnata da un impegno europeo su energia statunitense e investimenti nell’economia americana, mostra con chiarezza l’attuale asimmetria nelle relazioni transatlantiche. L’accordo ha messo in evidenza che in questo frangente è mancato un vero equilibrio nella negoziazione. Fatto, questo, che non può non sollevare interrogativi più grandi sul futuro dell’Unione Europea come attore globale.

LA GENESI DELL’ACCORDO: PRESSIONI AMERICANE E MARGINI EUROPEI

Lo stile negoziale del Presidente Trump è stato coerente con la sua visione transazionale della politica estera: trattare i partner come concorrenti da cui estrarre concessioni. Durante la conferenza stampa pre-vertice, Trump ha sottolineato che gli Stati Uniti hanno sostenuto per decenni un rapporto a senso unico con l’Europa. Il surplus commerciale europeo e l’accesso privilegiato al mercato americano sono stati descritti come ingiusti, giustificando così l’imposizione di nuove tariffe. Washington ha esercitato pressioni su Bruxelles soprattutto attraverso delle richieste precise su temi come la difesa, l’energia e una maggiore apertura del mercato europeo ai prodotti USA. La trattativa condotta da von der Leyen non è di certo stata semplice. Soprattutto se si considerano l’altamente frammentato contesto interno dell’Unione e la missione di mediare tra gli interessi dei 27 Stati membri. La Germania, con il suo peso nel settore automobilistico, ha avuto tutto l’interesse a chiudere un accordo che contenesse le tariffe sulle auto, ora fissate al 15% contro il 25% precedente. Tuttavia, questo vantaggio settoriale non compensa lo squilibrio complessivo dell’intesa. L’UE ha ceduto su molti fronti, dalla sicurezza energetica (con la sostituzione del gas russo con GNL americano) agli investimenti in infrastrutture statunitensi, sacrificando parte della sua autonomia strategica.

UN PATTO ASIMMETRICO: L’EUROPA IN POSIZIONE DI SUBALTERNITÀ

L’accordo stipulato con gli Stati Uniti comporta rilevanti implicazioni economiche per l’Unione Europea. In particolare, l’importazione di energia statunitense, caratterizzata da costi superiori rispetto ad altre fonti alternative – quali il gas proveniente dall’Algeria o dal Medio Oriente – determina un incremento strutturale dei costi energetici, con conseguenti ripercussioni negative sulla competitività delle imprese e sul potere d’acquisto dei consumatori europei. Parallelamente, l’obbligo di procedere all’acquisto di armamenti statunitensi, unitamente all’impegno a destinare investimenti per un valore di 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti, comporta una significativa contrazione delle risorse finanziarie disponibili per la modernizzazione del tessuto industriale europeo e per il perseguimento degli obiettivi legati alla transizione ecologica. Sul piano geopolitico, l’accordo sancisce una dipendenza crescente dell’Europa dagli Stati Uniti. Non solo in ambito energetico e militare, ma anche nella regolazione tecnologica e nel commercio digitale. L’esclusione della farmaceutica dal regime di dazi zero e la mancata definizione di un quadro normativo condiviso sulle Big Tech statunitensi (come Google, Meta o Amazon) pongono l’UE in una posizione vulnerabile anche su questo fronte. Il tutto avviene in un momento storico in cui la competizione tecnologica è diventata uno dei principali terreni di scontro tra potenze globali.

VERSO UNA NUOVA ARCHITETTURA EUROPEA

L’accordo di Scozia rappresenta anche il limite dell’attuale assetto istituzionale europeo. La Commissione, pur guidata da una figura autorevole come von der Leyen, risente dell’influenza degli Stati membri e della logica del compromesso intergovernativo. Il persistente potere di veto, esercitato da singoli Stati in ambito economico, fiscale e di politica estera, impedisce all’UE di parlare con una sola voce. Per trattare da pari a pari con potenze come gli Stati Uniti, la Cina o la Russia, è necessaria una governance più coesa e centralizzata. L’Europa deve dotarsi di una vera politica industriale comune, in grado di ridurre la dipendenza da fornitori esterni in settori chiave come l’energia, i semiconduttori, i metalli rari e la difesa. Occorre, inoltre, rafforzare l’industria militare europea, che soffre di frammentazione e sottoutilizzo di risorse. La creazione di un’autonomia strategica passa attraverso l’integrazione di capacità tecnologiche, finanziarie e militari, e la creazione di un Fondo per la Difesa europea dotato di risorse adeguate.

EUROPA E STATI UNITI: TRA ALLEANZA E COMPETIZIONE

L’accordo siglato con Trump mette quindi in discussione il paradigma della solidarietà occidentale che ha guidato per decenni i rapporti transatlantici. La NATO e la cooperazione economica post-bellica si sono basate su una comunanza di valori democratici e sul sostegno reciproco. Oggi, tuttavia, Washington agisce sempre più come attore sovrano, interessato a massimizzare i propri ritorni strategici anche a scapito degli alleati. L’Europa, di fronte a questa evoluzione, non può più fare affidamento sulla benevolenza americana, ma deve costruire la propria agenda. Il rapporto con gli Stati Uniti non può e non deve essere improntato al conflitto, ma richiede una ridefinizione equilibrata. Una partnership tra pari, basata su regole chiare, rispetto reciproco e benefici condivisi, è ancora possibile. Ma perché ciò avvenga, l’Europa deve uscire dalla logica della passività e rivendicare un ruolo autonomo nelle grandi sfide globali: transizione energetica, governance digitale, difesa comune e politica estera.

IL FUTURO DELL’EUROPA NEL MONDO MULTIPOLARE

Il sistema internazionale sta attraversando una transizione verso un ordine multipolare, in cui la supremazia unilaterale degli Stati Uniti viene messa in discussione da potenze emergenti come la Cina, l’India, e persino attori regionali come la Turchia o il Brasile. In questo contesto, l’Unione Europea deve scegliere se essere un soggetto protagonista o un semplice spazio di influenza altrui. Le sfide globali – dal cambiamento climatico ai flussi migratori, dalle guerre tecnologiche ai conflitti regionali – richiedono un’Europa capace di decidere e agire con coerenza. Occorre dotare l’UE di una strategia globale comune, superando le divisioni nazionali. Una diplomazia europea, una politica estera coerente, una difesa autonoma e una rappresentanza unitaria nei consessi internazionali (come il Consiglio di Sicurezza dell’ONU) sono passi essenziali per il consolidamento dell’Europa come attore geopolitico a tutti gli effetti.

LA SFIDA DELL’AUTONOMIA STRATEGICA

L’accordo commerciale tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti è più di un’intesa economica: è il simbolo di un rapporto in mutazione e il segnale di un’urgenza. L’Europa deve emanciparsi dalla sua condizione di subalternità, rafforzando le proprie capacità economiche, strategiche e istituzionali. Il tempo dell’integrazione tecnica è finito: serve un salto politico che trasformi l’UE in una potenza vera, capace di influenzare il mondo piuttosto che subirlo. In gioco non vi è solo la competitività economica, ma la stessa sovranità democratica dei popoli europei.