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L’inverno demografico della Spagna si aggrava: Può una nazione senza figli sopravvivere?

Costruire un’Europa conservatrice - Novembre 1, 2025

La Spagna sta scivolando in quello che i demografi chiamano inverno demografico: un crollo prolungato dei tassi di natalità che sta trasformando la sua economia, la sua struttura sociale e il suo senso di continuità. Gli ultimi dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (INE) dipingono un quadro desolante: nel 2024, la Spagna ha registrato solo 322.000 nascite, il numero più basso da quando esistono i registri. Il tasso di fertilità è sceso a 1,19 figli per donna, ben al di sotto della soglia di sostituzione di 2,1 e tra i più bassi in Europa.

Nel frattempo, l’aspettativa di vita continua ad aumentare – oggi è di 83,3 anni, una delle più alte a livello globale – creando una società che non solo si sta riducendo, ma sta anche invecchiando rapidamente. Secondo le proiezioni di Eurostat, entro il 2050 quasi quattro spagnoli su dieci avranno più di 65 anni. Le conseguenze economiche sono immediate e gravi: un minor numero di lavoratori deve sostenere un maggior numero di pensionati, mettendo a dura prova il sistema pensionistico, l’assistenza sanitaria e le finanze pubbliche.

La famiglia che scompare

Dietro questi numeri si nasconde una rivoluzione sociale silenziosa. I tassi di matrimonio sono diminuiti di oltre il 50% dagli anni ’80 e l’età media delle madri al primo impiego è salita a 32,1 anni, la più alta dell’Unione Europea. Oggi in Spagna un bambino su dieci nasce da una madre con più di 40 anni e una gravidanza su quattro finisce con un aborto.

Il risultato è visibile nella composizione delle famiglie spagnole. Solo il 25% delle case comprende un bambino sotto i 18 anni, rispetto al 30% di dieci anni fa. Tre quarti delle famiglie sono composte esclusivamente da adulti, il che riflette non solo il calo delle nascite ma anche la frammentazione delle reti familiari tradizionali. Secondo Eurostat, il 29% di tutte le famiglie spagnole è composto da una sola persona, un livello record che si correla con l’aumento dei tassi di solitudine e di problemi di salute mentale.

Gli esperti avvertono che l’erosione della vita familiare si sta auto-perpetuando: meno bambini ci sono, meno genitori futuri avrà una nazione. Il senso di continuità familiare – nonni, cugini, zii – si riduce, lasciando un paesaggio sociale sempre più segnato dall’isolamento.

L’illusione dell’immigrazione

A prima vista, l’immigrazione sembra controbilanciare queste tendenze. Oltre nove milioni di residenti nati all’estero vivono in Spagna e, se si includono i loro figli nati in Spagna, gli immigrati di prima e seconda generazione rappresentano circa il 23% della popolazione totale. Dal 2015, la Spagna ha guadagnato 3,6 milioni di immigrati, provenienti soprattutto da America Latina, Nord Africa ed Europa orientale.

Nel 2023, il 31% dei neonati avrà una madre nata all’estero e più di un terzo avrà almeno un genitore nato all’estero. In Catalogna, questa cifra supera il 50%. L’immigrazione è diventata l’unica fonte di crescita della popolazione in un paese in cui l’aumento naturale (nascite meno decessi) è ormai persistentemente negativo.

Tuttavia, gli esperti avvertono che non si tratta di una soluzione a lungo termine. Gli immigrati tendono ad adottare i modelli di fertilità del paese ospitante nel giro di una generazione e i nuovi arrivati in Spagna non fanno eccezione. La seconda generazione, quella nata e istruita in Spagna, presenta tassi di natalità simili a quelli dei nativi spagnoli. Inoltre, gli afflussi su larga scala esercitano una pressione crescente sui sistemi abitativi, educativi e sanitari, già messi a dura prova dall’invecchiamento della popolazione autoctona.

Il tasso di disoccupazione in Spagna rimane superiore all’11%, con oltre quattro milioni di persone disoccupate o sottoccupate. Allo stesso tempo, la domanda di posti di lavoro poco qualificati ha attirato centinaia di migliaia di immigrati, molti dei quali devono affrontare qualifiche limitate e problemi di integrazione. Il risultato è un paradosso: un’elevata disoccupazione che coesiste con un rapido afflusso di popolazione, generando tensioni sociali e fiscali che nessuna politica governativa è ancora riuscita a conciliare.

Il costo economico del declino

La contrazione demografica non è solo una sfida sociale, ma anche una minaccia macroeconomica. Meno lavoratori significano minore produttività, crescita più lenta e oneri fiscali più pesanti per la classe media che si sta riducendo. La Banca di Spagna stima che, senza un’inversione di tendenza della fertilità, la popolazione in età lavorativa del Paese si ridurrà di sei milioni di unità entro il 2050.

Il sistema pensionistico, già in persistente deficit, rischia l’insolvenza a causa del peggioramento dell’indice di dipendenza. Nel 1980, c’erano cinque lavoratori per ogni pensionato; oggi ce ne sono solo due ed entro la metà del secolo ce ne saranno appena 1,3. Allo stesso tempo, la spesa sanitaria – già pari al 10% del PIL – continua ad aumentare perché la popolazione più anziana richiede cure croniche.

“La Spagna sta invecchiando verso la stagnazione”, avverte un recente rapporto CEU-CEFAS, notando che ogni anno il calo delle nascite coincide con un debito pubblico record e un aumento della spesa sociale. La situazione, conclude il rapporto, “è strutturalmente insostenibile se il Paese non riscopre il valore sociale della famiglia e della genitorialità”.

Le radici culturali della crisi

Se da un lato le pressioni economiche, i costi elevati degli alloggi, l’instabilità dell’occupazione e la scarsità di servizi per l’infanzia scoraggiano molti giovani spagnoli dall’avere figli, dall’altro la crisi va ben oltre i vincoli materiali. È anche culturale.

Nelle società post-industriali, l’individualismo e la secolarizzazione hanno eroso le motivazioni tradizionali della vita familiare. La Spagna, un tempo una delle nazioni più cattoliche d’Europa, ha assistito a una disaffezione di massa: appena il 18% degli spagnoli sotto i 35 anni si identifica oggi come cattolico praticante. Il declino del credo religioso si accompagna al declino delle istituzioni – matrimonio, genitorialità e comunità – che si basano su un significato morale condiviso.

I sociologi la chiamano “società post-familiare”: una società in cui la libertà personale e la mobilità della carriera vengono anteposte alla continuità e all’assistenza. Le conseguenze sono sottili ma profonde. Quando la famiglia viene ridotta a un’opzione di vita piuttosto che a una vocazione, l’istinto collettivo alla riproduzione si affievolisce. I figli diventano un peso, non una benedizione; il futuro, un rischio piuttosto che una speranza.

Politica senza visione

I governi spagnoli che si sono succeduti sono stati lenti a reagire. Nonostante anni di avvertimenti, la politica familiare rimane frammentata e sottofinanziata. La spesa pubblica per le prestazioni familiari rappresenta solo l’1,3% del PIL, meno della metà della media europea. Le detrazioni fiscali per i bambini sono minime, la disponibilità di servizi per l’infanzia rimane limitata e le politiche di congedo parentale sono in ritardo rispetto a quelle del Nord Europa.

Le poche misure adottate, come il modesto “assegno per i figli” per le famiglie a basso reddito, affrontano a malapena i disincentivi strutturali delle coppie della classe media. I prezzi delle case, soprattutto a Madrid e Barcellona, sono proibitivi: nel 2025 il costo medio per metro quadro ha superato i 3.200 euro, mentre i salari sono rimasti fermi. Per molti giovani adulti, formare una famiglia è finanziariamente impossibile prima dei 30 anni, quando la fertilità inizia a diminuire drasticamente.

La strada da percorrere

Alcuni paesi europei stanno iniziando a invertire la tendenza. La Francia e l’Ungheria, ad esempio, hanno introdotto politiche aggressive a favore della famiglia che combinano sgravi fiscali, servizi di assistenza all’infanzia e incentivi per la casa. Il tasso di fertilità della Francia, sebbene in calo, rimane intorno all’1,8, il più alto dell’UE. L’Ungheria ha registrato una modesta ripresa dal 2010 dopo aver legato gli sgravi fiscali e la cancellazione dei mutui alla nascita di figli.

La Spagna non ha ancora seguito l’esempio. Per farlo, non basterebbe una riforma finanziaria, ma occorrerebbe un riorientamento culturale. La politica familiare deve essere trattata come una costruzione della nazione, non come un argomento di nicchia del welfare. Le tasse e la spesa pubblica dovrebbero premiare le famiglie che investono nel futuro del Paese attraverso la genitorialità, mentre le scuole e i media dovrebbero ridare prestigio alla vita familiare e al linguaggio morale dell’impegno.

È essenziale anche un quadro di immigrazione sostenibile che dia priorità all’integrazione, all’educazione civica e alla competenza linguistica, piuttosto che ipotizzare che la sostituzione della popolazione possa sostituire il rinnovamento.

Una questione di continuità

L’inverno demografico non è un destino, ma è un avvertimento. La Spagna ha sopportato guerre, povertà e sconvolgimenti politici, ma mai prima d’ora ha affrontato la silenziosa minaccia di scomparire per consunzione. La culla si sta svuotando, le aule scolastiche sono piene a metà, gli uffici pensionistici sono stracolmi.

Se la nazione che un tempo popolava le Americhe ed evangelizzava il mondo non riuscirà a ripopolarsi, la perdita non sarà solo demografica ma anche di civiltà. La sfida ora non è semplicemente quella di sopravvivere, ma di ricordare perché la sopravvivenza è importante.