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COP30 tra ambizioni disattese e nuove sfide

Ambiente - Novembre 29, 2025

La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutasi a Belém, nota come COP30, era stata annunciata come un momento potenzialmente decisivo per la governance globale del clima. La scelta della città amazzonica era stata interpretata come un richiamo simbolico alla necessità di proteggere uno dei più importanti regolatori climatici del pianeta. Tuttavia, le tensioni politiche internazionali, le divergenze tra Paesi con differenti interessi economici e la complessità del processo negoziale hanno reso l’esito finale profondamente diverso. Tra i fattori che hanno contribuito a complicare la conferenza, ha avuto un peso rilevante l’assenza degli Stati Uniti dal tavolo negoziale, conseguenza del ritiro dalla cooperazione climatica voluto dall’amministrazione Trump. A fronte di tali difficoltà, l’autorevolezza diplomatica del presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva non è riuscita a imprimere lo slancio necessario a raggiungere un accordo capace di incidere.

IL MANCATO ACCORDO SUI COMBUSTIBILI FOSSILI

Il punto più controverso del negoziato ha riguardato la possibilità di includere una roadmap per il graduale abbandono dei combustibili fossili. Sebbene tale obiettivo non fosse inizialmente incluso nell’agenda ufficiale, la pressione esercitata da numerosi governi – in particolare europei – ha rapidamente trasformato il tema in una delle principali poste in gioco. Oltre novanta Paesi avevano espresso sostegno per l’introduzione di un quadro di riferimento non vincolante, che consentisse a ciascuna nazione di definire autonomamente un percorso di transizione energetica. Tuttavia, nelle ultime ore del vertice, ogni riferimento esplicito ai combustibili fossili è stato espunto dal documento finale a causa della decisa opposizione da parte dei Paesi produttori di idrocarburi, tra cui Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. La posizione di questi Stati, appoggiata da un fronte più ampio che comprende anche diversi membri dei BRICS, ha impedito di stabilire un obiettivo comune e ha evidenziato un cambiamento significativo degli equilibri geopolitici globali.

IL RUOLO DELL’UNIONE EUROPEA E IL NUOVO ISOLAMENTO DELLE AMBIZIONI CLIMATICHE OCCIDENTALI

In questo contesto di tensioni crescenti, l’Unione Europea ha tentato fino all’ultimo di difendere un approccio più ambizioso alla mitigazione della crisi climatica. Il blocco dei ventisette aveva perfino minacciato di impedire l’approvazione del testo finale, che, secondo le regole della COP, richiede l’unanimità delle quasi duecento delegazioni. Alla fine, l’UE ha optato per sostenere il documento, pur riconoscendone la debolezza, con la consapevolezza che una rottura formale avrebbe compromesso ulteriormente il processo multilaterale. La distanza che separa le posizioni europee da quelle dei petro-Stati è apparsa più ampia rispetto al passato, soprattutto in assenza di un alleato tradizionale come gli Stati Uniti. Le analisi successive hanno indicato come la feroce opposizione dei Paesi esportatori di combustibili fossili abbia bloccato la possibilità di avanzare anche solo verso un quadro generale per l’eliminazione graduale delle fonti fossili, riproponendo dinamiche già viste in precedenti conferenze ma con un’intensità ancora maggiore.

LA DISINFORMAZIONE CLIMATICA

Uno dei pochi ambiti in cui la COP30 ha prodotto un consenso pieno riguarda la necessità di contrastare la disinformazione climatica. Per la prima volta, gli Stati partecipanti hanno riconosciuto formalmente l’importanza dell’integrità delle informazioni per un’efficace azione climatica. Si tratta di un passo significativo nella tutela della scienza del clima e nella protezione del dibattito pubblico da manipolazioni e interessi privati, con particolare attenzione all’influenza esercitata dai grandi attori tecnologici e pubblicitari. Vari osservatori hanno interpretato questo risultato come un segnale politico di rilievo, che rafforza l’impegno collettivo verso trasparenza e responsabilità democratica.

LA DEFORESTAZIONE E IL PARADOSSO AMAZZONICO: UN TEMA SACRIFICATO

Nonostante la collocazione geografica della COP30, la deforestazione non è riuscita a occupare un posto centrale nel testo finale. Il tentativo della Ministra brasiliana dell’Ambiente di integrare una tabella di marcia per porre fine alla distruzione delle foreste è fallito quando il tema è stato collegato alla roadmap sui combustibili fossili, anch’essa respinta dai petro-Stati. A compensare almeno in parte questa mancanza, il Brasile ha presentato un fondo internazionale per la protezione delle foreste tropicali, sostenuto da impegni preliminari di Germania e Norvegia. L’iniziativa, sebbene esterna al processo ONU, rappresenta una potenziale piattaforma finanziaria per sostenere i Paesi che mantengono intatti gli ecosistemi forestali.

FINANZIAMENTI PER L’ADATTAMENTO

Sul fronte dell’adattamento climatico, la conferenza ha prodotto un impegno a triplicare i finanziamenti destinati ai Paesi in via di sviluppo, un obiettivo più ambizioso rispetto alle decisioni precedenti. Tuttavia, l’entità delle risorse necessarie e i tempi stabiliti sollevano dubbi sull’adeguatezza della risposta rispetto alla crescente gravità degli impatti climatici. L’obiettivo di raggiungere 120 miliardi di dollari annui è stato rinviato al 2035, ritardo giudicato da molti osservatori come incoerente con l’urgenza della situazione e come una mancanza di solidarietà verso le comunità già colpite da eventi estremi.

PROSPETTIVE FUTURE E SFIDE APERTE

Al termine della COP30, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto alcuni progressi, pur ammettendo che il divario tra le azioni attuali e ciò che suggerisce la scienza resta estremamente ampio. Nei prossimi mesi, il Brasile cercherà di mantenere alta l’attenzione sulla protezione delle foreste e sulla costruzione di percorsi globali di decarbonizzazione, anche attraverso la conferenza dedicata alla transizione energetica prevista per aprile. La successiva COP31 in Turchia rappresenterà un nuovo banco di prova per verificare se la comunità internazionale sarà in grado di superare l’attuale impasse. Alla luce degli esiti di Belém, tuttavia, le prospettive appaiono incerte, e il cammino verso un accordo globale più vincolante e allineato all’obiettivo di 1,5°C rimane estremamente irto di ostacoli.