
A dodici mesi dalla pubblicazione del suo rapporto sulla competitività europea, Mario Draghi torna a ribadire la necessità di una svolta radicale nella governance economica e politica dell’Unione Europea. L’ex presidente della Banca Centrale Europea ha scelto Bruxelles come palcoscenico per lanciare un nuovo appello ai leader europei, sottolineando con forza che il tempo a disposizione non è illimitato. Il contesto internazionale segnato da guerre commerciali, tensioni geopolitiche e progressi rapidi in settori strategici, come l’intelligenza artificiale, rende ancora più urgente un salto di qualità collettivo.
LA CENTRALITÀ DELLA COMPETITIVITÀ COME FATTORE DI SOPRAVVIVENZA
Nel dibattito contemporaneo sulla costruzione europea, la competitività è divenuta una variabile imprescindibile non solo per la prosperità economica, ma anche per la tenuta politica e sociale del continente. Draghi ha voluto rimarcare che l’attuale modello di crescita europeo sta mostrando segni di esaurimento, aggravati dalla mancanza di un piano organico di investimenti. La dipendenza dalle dinamiche esterne, sia in termini di approvvigionamento energetico sia di difesa militare, espone l’Unione a vulnerabilità crescenti. In questa cornice, il richiamo alla competitività assume i tratti di un avvertimento esistenziale: senza un rinnovamento, l’Europa rischia di perdere non solo terreno rispetto a Stati Uniti e Cina, ma anche la propria capacità di determinare in autonomia il proprio destino.
IL DEBITO PUBBLICO COME NODO CRUCIALE
Uno degli aspetti più problematici emersi nel discorso di Draghi riguarda la questione del debito pubblico. Secondo le stime, il rapporto debito/PIL europeo è destinato a salire nei prossimi dieci anni, avvicinandosi a soglie considerate critiche. La prospettiva di una crescita economica meno robusta di quanto previsto aggrava ulteriormente questo scenario. Per Draghi, il problema non può essere affrontato con strumenti nazionali isolati, poiché le dimensioni degli investimenti necessari superano le capacità dei singoli Stati membri. Da qui l’idea di un debito comune, non come panacea universale, ma come strumento per finanziare progetti condivisi di ampio respiro, capaci di innalzare la produttività complessiva.
LE TENSIONI CON GLI STATI UNITI E LA SFIDA CINESE
Il quadro geopolitico degli ultimi mesi ha reso evidente la debolezza negoziale dell’Europa. Le tariffe commerciali imposte da Washington, tra le più elevate degli ultimi decenni, hanno messo in luce la scarsa capacità dell’Unione di influenzare la direzione delle relazioni transatlantiche. Al contempo, la Cina continua a rafforzarsi come concorrente non solo sul piano industriale, ma anche su quello tecnologico e finanziario. L’Europa appare, quindi, schiacciata tra due poli che dispongono di strategie chiare e risorse ingenti, faticando a definire un percorso unitario. Draghi interpreta questa situazione come un segnale d’allarme: senza strumenti comuni e una visione condivisa, il rischio è quello di doversi adattare passivamente alle regole altrui.
LA QUESTIONE DELLA SOVRANITÀ EUROPEA
Il concetto di sovranità è stato posto al centro del ragionamento di Draghi, ma non nella sua accezione tradizionale legata ai confini nazionali. La sua analisi suggerisce che oggi la sovranità si gioca principalmente sulla capacità di incidere nelle scelte economiche e tecnologiche globali. Perdere la competitività significa perdere autonomia decisionale, diventando dipendenti da potenze esterne. In questo senso, la lentezza dei processi decisionali europei e la frammentazione politica vengono identificate come i veri nemici della sovranità. Le scuse legate al rispetto dei tempi istituzionali o al consenso interno non possono più giustificare l’inerzia, poiché la velocità delle trasformazioni in corso non consente ritardi.
L’URGENZA DI UN CALENDARIO VINCOLANTE
Uno degli elementi metodologici più rilevanti del discorso di Draghi è l’insistenza sulla necessità di stabilire scadenze concrete e risultati misurabili. La storia dell’integrazione europea, dal mercato unico alla moneta comune, dimostra che i successi sono stati possibili solo grazie a obiettivi chiari e a un impegno politico costante. Oggi questa formula appare l’unica via praticabile per evitare che l’Europa rimanga intrappolata in un dibattito sterile. La richiesta di passare da promesse generiche a traguardi definiti rappresenta, dunque, un tentativo di introdurre un principio di responsabilità politica finora troppo debole a livello continentale.
IL RAPPORTO CON I CITTADINI EUROPEI
Un altro aspetto centrale del ragionamento riguarda la percezione che i cittadini e le imprese hanno delle istituzioni. Secondo Draghi, esiste una disponibilità diffusa ad affrontare i sacrifici necessari per rilanciare la competitività, ma questa disponibilità rischia di andare perduta se i governi continueranno a mostrarsi indecisi o incapaci di cogliere la gravità del momento. La frustrazione generata dall’immobilismo politico può trasformarsi in sfiducia verso il progetto europeo stesso. Da qui l’invito a “guardare oltre le preoccupazioni quotidiane” per riscoprire un senso di destino comune.
A distanza di un anno dal suo rapporto, Mario Draghi propone una diagnosi severa ma lucida dello stato dell’Unione Europea. L’avvertimento è chiaro: senza azioni rapide e coordinate, il continente rischia di perdere non solo competitività economica, ma la stessa sovranità politica. Le sfide globali non consentono più strategie attendiste. Solo una maggiore integrazione finanziaria, accompagnata da scadenze concrete e da una rinnovata responsabilità politica, potrà garantire all’Europa un ruolo da protagonista nello scenario internazionale. La questione non riguarda soltanto i governi, ma l’intero tessuto sociale ed economico che chiede ai leader europei una risposta all’altezza dei tempi straordinari che stiamo vivendo.