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Guerra Israele-Iran: cosa implicherebbe la chiusura dello stretto di Hormuz?

Conflitti in Medio Oriente - Giugno 30, 2025

Lo Stretto di Hormuz rappresenta una delle arterie marittime più strategiche attraverso cui transita oltre il 20% del commercio energetico globale, come riportato in queste ultime settimane da gran parte dei media internazionali. Situato tra l’Iran e l’Oman, questo stretto, lungo circa 50 km e largo appena 33 km nei suoi punti più stretti, costituisce un collo di bottiglia per le forniture di petrolio e gas naturale liquefatto (GNL) provenienti dal Golfo Persico. Eventi recenti, come l’attacco statunitense ai siti nucleari iraniani e le minacce di Teheran di bloccare il passaggio navale, hanno portato alla ribalta il rischio associato a quest’area, ma soprattutto alla sua possibile interdizione ad opera dell’Iran.

PERCHÉ UN’ANALISI CON AL CENTRO LO STRETTO DI HORMUZ?

In questo frangente dello scontro in atto tra Israele ed Iran, anche a seguito dell’intervento dell’Amministrazione USA, resta di fondamentale interesse l’analisi del valore strategico dello Stretto di Hormuz, delle implicazioni economiche e geopolitiche di una sua eventuale chiusura, delle conseguenze sui mercati energetici globali e delle ripercussioni sulle economie occidentali, con particolare attenzione al contesto europeo. Sono questi i temi che potrebbero far comprendere da un lato quale potrebbe essere la linea d’azione che intraprenderebbe un Iran messo alle strette, dall’altro le mosse delle cancellerie internazionali – soprattutto europee – nell’ottica di una prosecuzione dello scontro.

UN VALORE STRATEGICO E SOPRATTUTTO ECONOMICO

Secondo i dati della U.S. Energy Information Administration – ripresi in queste giornate anche da diversi media e analisti che si sono concentrati su questo tema – ogni giorno transitano attraverso Hormuz circa 17 milioni di barili di petrolio e una quantità significativa di gas naturale liquefatto. Le esportazioni in Arabia Saudita, Iraq, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Iran sono vincolate a questa rotta per raggiungere i mercati europei e asiatici. Pertanto, qualsiasi minaccia alla libera navigazione nello stretto ha un impatto immediato e potenzialmente devastante sull’offerta energetica globale – soprattutto europea, anche a fronte della chiusura dei canali russi a seguito del conflitto in Ucraina. Questa centralità logistica attribuisce allo Stretto di Hormuz una valenza strategica in grado di influenzare, con la semplice decisione di chiudere il passaggio, gli equilibri geopolitici regionali e internazionali. La possibilità che l’Iran possa decidere di limitare o rendere insicura questa rotta è percepita come una delle leve principali nella sua politica estera, in particolare nei momenti di tensione con gli Stati Uniti e i loro alleati regionali; figuriamoci quanto questa leva possa risultare importante in un contesto di aperto conflitto armato come quello che stiamo vivendo.

LE RECENTI TENSIONI, LE MINACCE IRANIANE E UNO SGUARDO AL PASSATO

L’attacco statunitense ai siti nucleari iraniani ha certamente alimentato i timori di un’escalation. In risposta, Teheran ha infatti minacciato proprio la chiusura dello Stretto, ipotesi che preoccupa profondamente le cancellerie occidentali e i mercati finanziari. Benché non vi siano al momento segnali concreti di una chiusura imminente, la minaccia è stata sufficiente a provocare un’immediata reazione sui mercati energetici, ad esempio con la crescita del prezzo del gas. Le tensioni attuali evocano scenari simili a quelli osservati durante la Guerra del Kippur, negli anni Settanta, quando il mondo assistette a un’impennata dei prezzi energetici a causa di conflitti mediorientali. Tuttavia, la situazione attuale è aggravata dalla maggiore interdipendenza economica globale e dalla fragilità delle economie europee, già messe a dura prova dalla crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina.

LE REAZIONI DEI MERCATI ENERGETICI

L’impatto di una chiusura, anche temporanea, dello Stretto di Hormuz sarebbe immediato e significativo. Le ripercussioni si estenderebbero ben oltre il Medio Oriente, influenzando l’intero sistema energetico globale. I mercati stanno già scontando questa possibilità con un aumento dei prezzi delle materie prime energetiche, carenze di approvvigionamento e una nuova ondata di rincari per famiglie e imprese. Il rischio più immediato sarebbe un’impennata del prezzo del petrolio, con conseguenze su costi di trasporto, produzione industriale e beni di consumo. Le economie che dipendono fortemente dalle importazioni energetiche, come quelle europee, sarebbero particolarmente vulnerabili. Le borse mondiali, nel frattempo, mostrano segnali di nervosismo, e il settore del trasporto marittimo e aereo è già colpito da deviazioni di rotte e restrizioni di spazio aereo. In contesti di crescente instabilità geopolitica come quelli determinati da conflitti militari nella regione del Golfo, il traffico aereo e marittimo subisce infatti rilevanti mutamenti operativi e strategici. A seguito della chiusura degli spazi aerei iraniano e iracheno e del contestuale incremento del rischio nello spazio siriano, numerose compagnie aeree internazionali sono state costrette a modificare i propri piani di volo. Tali variazioni hanno comportato significativi allungamenti dei tempi di percorrenza. Anche il settore marittimo manifesta profonde preoccupazioni: un’eventuale chiusura dello Stretto di Hormuz da parte dell’Iran comporterebbe il blocco degli accessi navali verso i principali hub del Golfo.

L’IMPATTO SULL’EUROPA E SULL’ITALIA

L’Europa importa dal Golfo Persico circa il 20-25% del proprio fabbisogno energetico, con un transito diretto attraverso Hormuz stimato, secondo i dati Eurostat, attorno al 13% per il greggio e al 6% per il gas. Una chiusura dello stretto avrebbe effetti a catena sulle raffinerie europee e sulle industrie energivore. Il rischio principale è una nuova crisi delle bollette per famiglie e imprese, già provate dall’inflazione e dall’instabilità dei mercati. In Italia il Governo ha già avviato lo studio di misure emergenziali, come il disaccoppiamento tra il prezzo del gas e quello dell’elettricità, sconti in bolletta per le imprese e nuovi contratti a termine per calmierare i prezzi. Tuttavia, l’adozione di una strategia europea coordinata rimane complessa a causa delle divergenze tra i vari Stati membri in termini di mix energetico, infrastrutture e capacità di stoccaggio.

LE ALTERNATIVE LOGISTICHE E I LIMITI

Naturalmente esistono alcune alternative allo stretto di Hormuz, ma la loro capacità è limitata. Tra queste, l’oleodotto “East-West” saudita o quello degli Emirati Arabi Uniti verso il porto di Fujairah. Tuttavia, queste infrastrutture non sono sufficienti a compensare un eventuale blocco totale dello Stretto, soprattutto in termini di gas liquefatto, che richiede terminali di rigassificazione non sempre disponibili. Inoltre, l’utilizzo di rotte alternative comporta costi logistici più elevati e tempi di consegna più lunghi, con inevitabili ripercussioni sui prezzi finali dell’energia e dei beni di consumo. Il rischio è dunque che la sola minaccia iraniana basti a rendere più incerta e costosa l’intera filiera energetica globale.

LE IMPLICAZIONI SONO MONDIALI, NON SOLO REGIONALI

Ogni azione iraniana sullo Stretto di Hormuz ha ripercussioni ben oltre l’ambito energetico. L’Iran si trova davanti a un dilemma strategico: bloccare Hormuz significherebbe danneggiare anche i propri alleati economici come Cina e Russia, principali acquirenti del suo petrolio. Inoltre, un gesto simile costituirebbe un’escalation tale da poter arrivare a giustificare un intervento militare occidentale, con il rischio concreto di trasformare la crisi – già molto complessa – in un conflitto regionale su larga scala. Teheran sa di avere nelle proprie mani una leva importante, ma anche molto pericolosa. Ogni decisione, in questo contesto, viene valutata dal Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale sotto l’autorità della Guida Suprema, Ali Khamenei. La scelta di una chiusura formale, o anche solo di una progressiva destabilizzazione del passaggio marittimo, potrebbe costituire il punto di non ritorno di una nuova guerra nel Golfo.

LA SICUREZZA ENERGETICA DIPENDE ANCORA DA QUESTA ROTTA

In ultima istanza, lo Stretto di Hormuz è oggi più che mai un crocevia non solo energetico, ma anche politico e strategico. La sua chiusura avrebbe effetti sistemici sull’economia globale, innescando una crisi energetica, finanziaria e diplomatica dalle proporzioni potenzialmente inedite. Le recenti tensioni tra Stati Uniti e Iran ne hanno evidenziato ancora una volta la centralità, mostrando come la geopolitica dell’energia resti uno degli assi portanti del nuovo equilibrio internazionale. In questo scenario, l’Europa si trova a dover fronteggiare una crisi i cui margini di manovra sono limitati. Investimenti e diversificazione delle forniture e cooperazione internazionale restano gli unici strumenti a disposizione per affrontare un futuro sempre più incerto. Ma nel breve periodo, la stabilità dello Stretto di Hormuz resta una condizione imprescindibile per la sicurezza energetica globale.