Oggi l’Europa deve affrontare due guerre: quella combattuta con i carri armati sul Dnipro e quella combattuta con i numeri a Bruxelles.
Quando la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha inviato ai Ventisette la sua lettera sulle tre opzioni per finanziare i 135 miliardi necessari a sostenere l’Ucraina nel biennio 2026-2027, non ha solo acceso un dibattito tecnico. Ha aperto una faglia politica che dovrebbe attraversare l’intera Europa, perché, a voler analizzare i contenuti della missiva in maniera approfondita, la domanda strategica e vitale per un conservatore dovrebbe essere: come si difende la libertà senza cedere la sovranità?
L’Europa conservatrice non ha dubbi sul primo punto: la libertà di Kiev è la nostra libertà.
La Russia di Vladimir Putin ha riportato la guerra sul continente, ha colpito un Paese sovrano e vuole dimostrare al mondo che i confini possono essere riscritti con i carri armati. Di fronte a questo, chi invoca “neutralità” sta semplicemente mascherando l’incapacità di scegliere tra aggressore e aggredito.
Ma la chiarezza strategica non significa ingenuità politica. La destra conservatrice europea — dall’Italia alla Polonia, dai Paesi baltici fino alla Spagna — sostiene l’Ucraina senza esitazioni, ma non accetta che l’emergenza diventi il pretesto per costruire un’Unione di debito permanente, un federalismo finanziario mai votato dai cittadini e guidato più dai funzionari della Commissione che dai Parlamenti.
L’Europa deve fare la sua parte e deve essere all’altezza del momento. Lo ripetiamo ormai da anni, ma occorre ribadire con chiarezza che l’Europa deve restare Europa delle nazioni, non diventare una banca centrale con annesso ministero del tesoro.
Le tre opzioni della Commissione non sono scelte squisitamente tecniche, bensì politiche
La lettera di von der Leyen presenta tre soluzioni. Sulla carta sembrano alternative finanziarie; in realtà sono tre visioni di Europa.
- 1. Contributi nazionali: la strada della responsabilità ma con quale sostenibilità?
La prima opzione è il ritorno all’essenziale: ogni Stato paga la sua quota.È la via più rispettosa della sovranità, ma la più difficile da sostenere di fronte a deficit elevati, vincoli di bilancio rientrati in vigore e governi che devono rendere conto ai cittadini. Non è una strada da scartare — soprattutto se serve come ponte — ma nessuno può fingere che sia sufficiente da sola a coprire l’intero fabbisogno di Kiev.
- 2. Debito comune europeo: la tentazione del “modello permanente”
Qui la Commissione mostra la sua vera inclinazione: replicare, e possibilmente istituzionalizzare, il paradigma del NextGenerationEU, trasformando l’eccezione pandemica in un’abitudine politica. Il debito comune può essere uno strumento, non un sistema. Può servire per la difesa comune, per i beni pubblici europei, per rafforzare la sicurezza del continente — su questo la linea dei governi conservatori come quello italiano è stata chiara e coerente. Ma il debito comune non può diventare il pilastro di un’Unione fiscale sottraendo gradualmente i bilanci agli Stati membri. La difesa dell’Ucraina non deve trasformarsi nella capitolazione della sovranità democratica delle nazioni europee. Il rischio è evidente: aprire una porta che poi nessuno richiuderà.
- 3. Prestito di riparazione basato sui beni russi (140 miliardi): l’idea giusta, da maneggiare con intelligenza
Che sia Putin, e non il contribuente europeo, a sostenere i costi della ricostruzione è un principio sano, morale ed evidente. Si tratterebbe di uno strumento di grande deterrenza: gli aggressori del futuro devono sapere che la guerra costa, e costa cara.
Eppure, la scorciatoia di utilizzare in modo aggressivo gli asset sovrani russi congelati presenta rischi enormi:
- rischio legale (diritto internazionale, arbitrati miliardari);
- rischio finanziario (fuga di capitali fuori dall’eurozona se l’UE appare inaffidabile come garante di beni sovrani);
- rischio geopolitico (Paesi terzi potrebbero disinvestire temendo precedenti pericolosi).
È per questo che sul tema occorre una linea prudente ma non attendista: utilizzare sì il valore economico legato agli asset russi, ma con strumenti giuridicamente blindati, coordinati con il G7, rispettosi del mercato e capaci di evitare shock sistemici: un approccio pragmatico, strategico non ideologico.
La linea conservatrice: aiutare Kiev sì, cedere sovranità no
Nel dibattito europeo sta emergendo una frattura reale. Da una parte c’è chi vede l’Ucraina come l’occasione per completare l’integrazione fiscale dell’UE, costruire un Tesoro europeo, svuotare i bilanci nazionali e permettere alla Commissione di indebitarsi a piacimento in nome delle “sfide comuni”.
Dall’altra c’è il campo conservatore che dice:
- sì al sostegno a Kiev, fino alla vittoria e oltre;
- sì a meccanismi straordinari, mirati, temporanei, controllati, come gli eurobond della difesa;
- sì a far pagare la Russia, ma senza destabilizzare i mercati e senza violare la legalità;
- no all’equivoco secondo cui ogni crisi giustifichi un pezzo di sovranità ceduto per sempre.
Questa è una posizione equilibrata e strategica, l’unica che tenga insieme libertà, responsabilità, geopolitica e democrazia.
Una questione più grande: il futuro dell’Europa post-Putin
Il modo in cui l’Europa decide di finanziare la resistenza ucraina determinerà che tipo di Unione avremo fra dieci anni. Se prevarrà la linea federalista “debito oggi, integrazione domani”, l’UE cambierà natura senza che i cittadini siano mai stati chiamati a scegliere.
Se invece prevarrà la linea conservatrice — cooperazione sì, centralizzazione no — allora l’Unione avrà ancora una chance per tornare a essere ciò che deve essere: una comunità di nazioni libere che decidono insieme, non una macchina anonima che decide al posto loro.
Aiutare Kiev è un dovere morale, ma anche una necessità esistenziale e strategica sul piano geopolitico. Tuttavia questo non significa abbandonare i principi fondativi dell’Europa: sovranità, legalità, responsabilità democratica, equilibrio tra Stati.
La Russia deve pagare.L’Europa deve sostenere l’Ucraina. ma l’Europa non deve diventare ciò che i suoi popoli non hanno mai chiesto: un’unione del debito permanente e dell’irresponsabilità fiscale.
Servono coraggio e visione per costruire una politica estera e di difesa all’altezza della nostra storia.
E questa politica può nascere solo da una destra conservatrice che sa vedere la realtà per quella che è:
un mondo pericoloso, un continente fragile, una sfida che richiede forza e prudenza. Senza cedere di un centimetro il perimetro della nostra libertà.
La libertà dell’Europa sarà difesa a Kiev, ma la sua anima sarà difesa a Bruxelles.