Quando le forze russe hanno attraversato i confini ucraini, nel febbraio 2022, l’operazione era stata concepita come una guerra lampo destinata a concludersi nel giro di poche settimane. L’obiettivo era quello di abbattere rapidamente il governo di Kiev, collocando al suo posto una leadership filo-moscovita già individuata e pronta ad assumere il controllo. L’intera architettura politica e militare del Cremlino si reggeva sull’idea che la resistenza ucraina sarebbe crollata in breve tempo e che il presidente Volodymyr Zelensky sarebbe stato costretto alla fuga o alla resa. La realtà operativa si è però rivelata l’opposto: l’esercito ucraino non solo ha impedito il crollo dello Stato, ma ha costretto la Russia a ritirarsi dalle sue posizioni più ambiziose, in particolare dalla regione della capitale e da ampie porzioni del fronte meridionale.
LA RICONQUISTA UCRAINA E LA RIDUZIONE DEI GUADAGNI TERRITORIALI RUSSI
Nei primi diciotto mesi di conflitto, le forze ucraine sono riuscite a riconquistare circa metà del territorio occupato nelle fasi iniziali dell’invasione. Tale risultato è stato ottenuto sia grazie a ritiri operativi russi, come quello alle porte di Kiev e quello da Kherson, sia attraverso controffensive di successo nell’Ucraina orientale. Dal punto di vista strettamente territoriale, dopo quasi quattro anni di conflitto, il bilancio dei guadagni reali della Russia è estremamente limitato: l’estensione aggiuntiva sotto controllo di Mosca ammonta appena a circa l’uno per cento del territorio ucraino rispetto all’inizio dell’aggressione. Una cifra che non riflette l’ampiezza degli obiettivi politici dichiarati dal Cremlino.
LE LINEE DEL POSSIBILE ACCORDO E LE AMBIZIONI INCOMPLETE DEL CREMLINO
La prospettiva di un congelamento del conflitto, modellato sulla logica del 38° parallelo coreano, suggerisce che la linea di demarcazione futura potrebbe stabilizzarsi nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia lungo il fronte attuale. Tuttavia, la strategia russa prevedeva il controllo integrale degli oblast contesi, un obiettivo che non è stato raggiunto. L’unica regione completamente occupata è Luhansk, considerata tra le meno strategiche delle aree orientali. Nella più rilevante regione di Donetsk, l’Ucraina mantiene ancora il controllo di una quota significativa che, secondo le proiezioni dei possibili accordi, dovrebbe trasformarsi in zona neutrale e demilitarizzata. Complessivamente, Mosca controlla poco più di un quinto dell’intero territorio ucraino, una porzione importante ma lontana dal progetto originario di riportare Kiev sotto una sfera d’influenza diretta.
I COSTI UMANI E POLITICI PER L’UCRAINA, TRA DIFESA E SACRIFICI
Sebbene la Russia non possa vantare una vittoria strategica piena, l’Ucraina non ha motivo di festeggiare. Il prezzo umano del conflitto è devastante: un numero elevatissimo di caduti, decine di migliaia di feriti e una quota enorme di mutilati – circa la metà dei 360.000 feriti complessivi. A questo si aggiunge la perdita di territori che, in caso di accordo, verrebbero definitivamente amputati dal corpo dello Stato. Si tratta di sacrifici che non possono essere minimizzati né relativizzati attraverso il confronto con gli obiettivi falliti di Mosca. Tuttavia, nonostante l’erosione delle forze armate ucraine e la necessità di un ridimensionamento, Kiev manterrebbe comunque una capacità militare tra le più rilevanti del vecchio continente: anche ridotto a circa 800.000 uomini, l’esercito ucraino resterebbe il più numeroso dell’Unione Europea.
L’ILLUSIONE DELLA VITTORIA E LA FRAGILITÀ DELLA POSIZIONE RUSSA
La possibilità che la Russia presenti come un trionfo ciò che si configurerebbe piuttosto come una vittoria di Pirro è elevata. Se il Cremlino dovesse rifiutare il piano di pace aggiornato, rivelerebbe la fragilità delle sue pretese negoziali, mettendo a nudo la distanza tra la narrativa interna e la realtà del conflitto. Anche un’eventuale accettazione difficilmente permetterebbe a Vladimir Putin di sostenere credibilmente di aver raggiunto gli obiettivi originari della “operazione speciale”: le ambizioni di un cambiamento politico a Kiev, la rapida neutralizzazione dell’esercito ucraino e la ricostruzione di un’egemonia russa sull’intero Paese sono, infatti, fallite in modo evidente. L’esito attuale non rappresenta una profonda vittoria politica né una solida vittoria militare, ma un compromesso che rivela il limite strutturale del progetto imperiale lanciato nel 2022.
UNA CONCLUSIONE CHE NON CHIUDE IL CONFLITTO
In questo contesto, anche il raggiungimento di un accordo non garantirebbe una stabilizzazione duratura. Il conflitto congelato produrrebbe una linea di tensione persistente, mentre entrambi i Paesi dovrebbero convivere con pesanti conseguenze economiche, demografiche e sociali. Ciò che emerge con chiarezza è che né la Russia né l’Ucraina possono rivendicare una vittoria completa. La Russia, infatti, pur mantenendo un controllo territoriale non irrilevante, non ha conquistato gli obiettivi politici e strategici che l’avevano spinta all’invasione. Per questo, la pretesa vittoria dello “Zar” non può essere considerata tale se analizzata alla luce dei risultati reali, dei costi sostenuti e delle ambizioni con cui l’aggressione era iniziata.