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Il nuovo quadro europeo dei rimpatri e la ridefinizione della governance migratoria

Legale - Dicembre 13, 2025

Nel contesto delle politiche migratorie europee, la recente approvazione da parte del Consiglio dell’Unione di nuove norme relative ai rimpatri e all’utilizzo dei Paesi terzi come destinazioni sicure rappresenta un passaggio cruciale nella costruzione di un sistema più centralizzato, vincolante e orientato al controllo delle frontiere esterne. Le misure discusse e adottate delineano un cambio di paradigma che investe non solo la gestione delle domande di protezione internazionale, ma anche le strategie di esternalizzazione del fenomeno migratorio, con conseguenze rilevanti sia sul piano giuridico sia su quello politico. In questo scenario, l’Italia assume una posizione particolarmente centrale; non solo come Stato di frontiera, ma anche come attore che ha promosso approcci innovativi, tra cui l’accordo bilaterale con l’Albania, divenuto oggi un modello contemplato dalla nuova cornice normativa europea.

IL REGOLAMENTO EUROPEO SUI RIMPATRI: OBIETTIVI, STRUMENTI E TRASFORMAZIONI NORMATIVE

Il nuovo regolamento sui rimpatri nasce dall’esigenza di rendere più efficaci le procedure di espulsione e uniformare la loro applicazione negli Stati membri. Attualmente, solo una minima parte degli ordini di rimpatrio viene eseguita: una lacuna che le istituzioni europee interpretano come sintomo di inefficienze amministrative, disomogeneità normative e ostacoli legati alla cooperazione con i Paesi di origine dei migranti. Il regolamento si propone di rendere ogni decisione di rimpatrio automaticamente valida in tutta l’Unione, superando la frammentazione che oggi obbliga a riaprire la procedura nel caso in cui una persona si sposti all’interno dello spazio europeo. Il provvedimento introduce, inoltre, una serie di misure più severe nei confronti dei migranti che non collaborano con l’esecuzione del rimpatrio. In tali casi, gli Stati membri potranno ritirare permessi di lavoro e prevedere sanzioni penali, inclusa la detenzione. Parallelamente, il regolamento rafforza gli strumenti di pressione verso i Paesi terzi che non agevolano il rientro dei propri cittadini, incidendo anche sulle relazioni bilaterali e sui regimi di visti. Si tratta, dunque, di un sistema che punta alla deterrenza, alla rapidità procedurale e all’uniformità, senza tuttavia eludere i rischi umanitari potenziali, soprattutto in riferimento alla destinazione di persone verso Paesi con cui non hanno alcun legame.

GLI HUB DI RIMPATRIO E L’ESTERNALIZZAZIONE DELLA GESTIONE MIGRATORIA

Uno degli aspetti più innovativi del pacchetto approvato è l’introduzione di hub di rimpatrio situati in Paesi terzi. Queste strutture, che potranno essere sia temporanee sia a carattere permanente, rappresentano un tassello fondamentale nella strategia europea di esternalizzazione della gestione dei flussi migratori. La possibilità di inviare migranti irregolari in Paesi diversi da quelli di origine, purché ritenuti sicuri e coinvolti in accordi bilaterali, sancisce una significativa trasformazione dell’approccio europeo, che adotta modelli già sperimentati in altre regioni del mondo. Il criterio del “collegamento” tra il richiedente e il Paese terzo, un tempo necessario per proporre il trasferimento, è stato rimosso. Gli Stati membri possono ora stabilire accordi con Paesi extra-UE che si rendano disponibili a ospitare hub di transito o di trattenimento, aprendo a scenari in cui le procedure di esame delle domande, di valutazione dell’ammissibilità e di eventuale rimpatrio si svolgono al di fuori del territorio europeo. Questo sistema punta a ridurre la pressione sull’apparato amministrativo degli Stati membri e a disincentivare le partenze irregolari, facendo sì che l’arrivo in Europa non garantisca automaticamente l’accesso al territorio o alla procedura ordinaria di asilo.

IL CONCETTO DI PAESE TERZO SICURO E IL NUOVO ELENCO EUROPEO DEI PAESI DI ORIGINE SICURI

In parallelo con il regolamento sui rimpatri, gli Stati membri hanno approvato modifiche al regime del Paese terzo sicuro e hanno adottato il primo elenco comune europeo dei Paesi di origine sicuri. Quest’elenco comprende Stati considerati in grado di garantire adeguata tutela dei diritti fondamentali, al punto da rendere le domande di asilo da essi provenienti presumibilmente infondate. L’approvazione dell’elenco consente di accelerare notevolmente l’esame delle richieste, poiché permette di rigettare immediatamente come inammissibili domande provenienti da quei Paesi, salvo casi eccezionali. Inoltre, si afferma la possibilità di dichiarare inammissibile una richiesta sulla base del concetto di Paese terzo sicuro, ossia un Paese extra-UE presso il quale il migrante avrebbe potuto chiedere protezione, anche solo per averlo attraversato durante il viaggio. Una delle principali innovazioni riguarda la revoca del diritto del richiedente a rimanere nell’Unione durante il ricorso contro la decisione di inammissibilità. Questo cambiamento riduce significativamente le possibilità di prolungare la permanenza sul territorio europeo attraverso strumenti giuridici, rafforzando la dimensione deterrente delle nuove norme. L’unica eccezione rilevante riguarda i minori non accompagnati, ai quali la disciplina del Paese terzo sicuro non è applicabile.

IL RUOLO DELL’ITALIA NELLE NEGOZIAZIONI EUROPEE E IL RAFFORZAMENTO DELL’APPROCCIO NAZIONALE

Tra gli Stati membri, l’Italia ha assunto una posizione di particolare rilievo durante il processo di approvazione delle misure. Il Governo italiano, rappresentato dal Ministero dell’Interno, ha interpretato le nuove norme come una legittimazione della propria linea politica, fondata su procedure accelerate alla frontiera, potenziamento dei rimpatri e utilizzo di accordi con Paesi terzi per l’esternalizzazione delle fasi preliminari della gestione migratoria. Il Ministro dell’Interno ha evidenziato come l’intesa raggiunta a Bruxelles rifletta, in larga parte, le soluzioni promosse dall’Italia negli ultimi anni. In particolare, l’anticipo di alcune norme previste dal Patto su migrazione e asilo consentirà agli Stati membri di applicare più rapidamente procedure di frontiera velocizzate, strumento che l’Italia considera essenziale per gestire i flussi nei territori più esposti, come le isole e le regioni meridionali. Il ruolo negoziale italiano è stato dunque di primo piano, tanto da essere riconosciuto ufficialmente come determinante nell’orientare la formulazione di alcune parti del testo.

IL MODELLO ITALIA-ALBANIA: DA ESPERIMENTO NAZIONALE A STRUTTURA CONFORME ALLA BASE GIURIDICA EUROPEA

L’accordo bilaterale stipulato tra Italia e Albania, che prevede la creazione di centri per l’accoglienza e il rimpatrio sul territorio albanese, è diventato un punto di riferimento all’interno della discussione europea. Le nuove norme forniscono ora una base giuridica chiara per accordi di questo tipo, superando le contestazioni politiche e giuridiche che nel contesto italiano avevano sollevato dubbi sulla compatibilità del progetto con il diritto europeo. I centri localizzati in Albania sono stati progettati per ospitare migranti intercettati in mare e trasferiti sotto la giurisdizione italiana, ma fisicamente trattenuti in un Paese terzo sicuro. Con l’adozione delle nuove regole, questi centri possono svolgere pienamente le funzioni per le quali erano stati concepiti: trattenimento, esame accelerato delle domande, applicazione del concetto di Paese terzo sicuro e organizzazione dei rimpatri. Da iniziativa pionieristica, il modello italiano diventa ora coerente con l’impianto regolatorio europeo, aprendo la strada a un suo eventuale utilizzo da parte di altri Stati membri. Il nuovo quadro normativo prevede anche la possibilità che la gestione dei centri sia estesa ad altri Paesi dell’Unione, qualora vengano stipulati accordi multilaterali. L’Italia passa così da Stato sperimentatore a potenziale promotore di un modello condiviso, rafforzando il proprio ruolo nel definire le strategie europee di esternalizzazione.

LA DIVERSA POSIZIONE DEGLI STATI MEMBRI E LE TENSIONI GEOPOLITICHE SOTTOSTANTI

Sebbene la maggioranza qualificata sia stata raggiunta, alcuni Stati membri – tra cui Spagna, Grecia, Francia e Portogallo – hanno espresso voto contrario. Le loro riserve sono legate al timore che un approccio troppo rigido possa violare diritti fondamentali e spostare eccessivamente il baricentro della gestione migratoria fuori dall’Unione. Le divisioni interne riflettono divergenze politiche, ma anche differenti condizioni geografiche e socio-economiche. Nonostante ciò, la spinta della Commissione e di una larga parte del Consiglio conferma la tendenza a un irrigidimento delle politiche migratorie, sostenuto dall’opinione pubblica e dalle forze politiche che chiedono maggiore controllo e rapidità. Le tensioni con alcuni Paesi terzi, che hanno dimostrato scarsa cooperazione nei rimpatri, restano un punto sensibile. Le difficoltà emerse tra Francia e Algeria rappresentano un esempio di come la politica dei rimpatri possa incidere sui rapporti bilaterali e sulla gestione dei visti.

IMPLICAZIONI POLITICHE E PROSPETTIVE FUTURE PER L’EUROPA E PER L’ITALIA

Le nuove norme europee sui rimpatri, sul concetto di Paese terzo sicuro e sugli hub esternalizzati segnano una svolta significativa nel sistema di gestione migratoria dell’Unione. L’obiettivo è creare un quadro più omogeneo, rapido ed efficace, anche a costo di ampliare l’uso di misure deterrenti e dell’esternalizzazione. In questo scenario, l’Italia non è più soltanto un Paese di prima linea, ma diventa attore centrale nella definizione delle politiche europee grazie alla propria capacità di anticipare soluzioni oggi formalmente riconosciute. L’evoluzione futura dipenderà dalla capacità degli Stati membri di implementare efficacemente le nuove norme e di negoziare accordi solidi con i Paesi terzi. Il modello italiano potrà prosperare solo se inserito in una strategia europea coordinata, in grado di coniugare controllo delle frontiere, rispetto dei diritti fondamentali e cooperazione internazionale. In ogni caso, il nuovo assetto normativo segna un rafforzamento del ruolo politico dell’Italia e inaugura una fase di profonda trasformazione dell’approccio europeo alle migrazioni.