
L’Unione Europea si appresta ad aprire un dibattito su una possibile riforma radicale del proprio sistema di tassazione energetica, attraverso una proposta definita da molti come una “patrimoniale green”. Si tratta di una iniziativa che è stata promossa dalla Danimarca, presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, che mira a introdurre accise crescenti su elettricità e carburanti allo scopo di allineare la fiscalità ambientale agli obiettivi di decarbonizzazione dell’UE.
DAL FISCO ALLA TRANSIZIONE ECOLOGICA
Negli ultimi anni l’Unione Europea ha intensificato il dibattito e le azioni nella lotta al cambiamento climatico, ponendosi obiettivi sempre più ambiziosi, come la riduzione delle emissioni del 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990. In tale contesto si inserisce la proposta di revisione della Direttiva sulla tassazione dell’energia (Energy Taxation Directive), già introdotta nel 2021 e ora oggetto di un rilancio decisivo. L’obiettivo principale è quello di incentivare l’utilizzo di fonti rinnovabili e disincentivare l’uso di combustibili fossili, attraverso un meccanismo fiscale che si affianchi ai dettami dell’Agenda 2030 e del Green Deal europeo.
I TRE ELEMENTI DELLA PROPOSTA DANESE
La proposta avanzata dalla Danimarca si articola su tre elementi fondamentali. In prima battuta una revisione delle accise sull’energia, con l’intento di adeguare il sistema di tassazione ai nuovi obiettivi climatici, con particolare riferimento alla neutralità carbonica e alla transizione verso un’economia sostenibile. Si punterebbe poi all’introduzione di un nuovo criterio di tassazione, non più fondato sui volumi di consumo, ma sul contenuto energetico e sull’impatto ambientale delle fonti energetiche. Questo cambiamento è volto a colpire più severamente fonti come il carbone. Di conseguenza, si attuerebbe una penalizzazione dei combustibili fossili, cercando di scoraggiarne l’utilizzo attraverso un’imposizione fiscale crescente.
IL CONTESTO NORMATIVO E LE RESISTENZE POLITICHE
La nuova patrimoniale dovrebbe essere approvata all’unanimità dal Consiglio dell’Unione Europea, condizione che pone alcuni ostacoli di natura politica. Molti Stati membri mostrano, infatti, alcune resistenze per timori legati agli effetti economici su imprese e cittadini; in particolare nei Paesi dell’Est Europa, maggiormente dipendenti dai combustibili fossili e con sistemi energetici meno flessibili. La richiesta di unificare il settore fiscale di Paesi che utilizzano modelli e mix energetici e industriali diversi rappresenta una sfida che potrebbe anche mettere in discussione i principi di equità e solidarietà su cui si fonda l’Unione, oltre che l’ingerenza nelle strategie energetiche nazionali.
IL RUOLO DELLA DANIMARCA
Non sorprende che la Danimarca sia il motore di questa iniziativa. Il Paese scandinavo è da anni in prima linea nella lotta al cambiamento climatico, con politiche ambientali molto rigide. A partire dal 2030, la Danimarca dovrebbe essere infatti il primo Paese al mondo ad applicare una carbon tax sulle emissioni agricole, imponendo un costo di 300 corone (circa 30 euro) per ogni tonnellata di CO₂ prodotta da bovini, suini e ovini. Questa misura, contestata da allevatori e agricoltori, rappresenta l’esempio concreto di una fiscalità ecologica applicata anche a settori normalmente esclusi dalla tassazione ambientale.
LE SPINTE PER LA RIFORMA
Al fianco dell’azione istituzionale, si registra una pressione da parte della società civile. Molte ONG hanno sottoscritto un appello per introdurre nuove tasse ambientali. Le richieste si concentrano sulla necessità di tassare in modo più incisivo settori come il trasporto aereo, l’industria dei combustibili fossili e le transazioni finanziarie internazionali. Anche i grandi patrimoni vengono indicati come soggetti da includere in un sistema di responsabilità fiscale legato alla crisi ambientale in atto.
TRANSIZIONE E RISCHIO REGRESSIVO
Naturalmente, la principale criticità della patrimoniale green risiede nel potenziale impatto regressivo che essa potrebbe generare sulle economie dei Paesi membri. Le accise sui carburanti e sull’elettricità tendono a colpire in misura maggiore le fasce sociali meno abbienti, che dedicano una quota maggiore del proprio reddito ai consumi energetici. Per evitare che la transizione ecologica possa diventare una nuova forma di ingiustizia sociale, sarebbe quindi necessario prevedere delle compensazioni, come sussidi, incentivi per l’efficienza energetica, oltre a dei sempre più necessari programmi di aggiornamento o addirittura di riconversione professionale per tutti quei lavoratori occupati nei settori a rischio.
TRA AMBIZIONE E REALISMO POLITICO
La proposta danese rappresenta una posizione fin troppo avanzata verso una fiscalità ambientale europea. La sua effettiva implementazione è sicuramente legata alla capacità di mediazione tra interessi divergenti e alla volontà politica degli Stati membri. In questo senso non si può dimenticare che ci troviamo in un momento storico in cui le crisi internazionali, le necessità di rivedere gli impegni industriali e le esigenze interne degli Stati membri difficilmente lasceranno il passo al dibattito sulla patrimoniale green. Soprattutto se essa non verrà prima di tutto accompagnata da misure redistributive e mitigative, oltre ad un dialogo aperto con i cittadini, affinché la transizione ecologica non si trasformi in una nuova fonte di disuguaglianze.