fbpx

Leone XIV e l’eredità digitale del papato

Scienze e tecnologia - Novembre 1, 2025

Quando, nei primi giorni del suo pontificato, Papa Leone XIV ha scelto di mantenere attivi gli account social ufficiali, ereditando così la voce digitale di Papa Benedetto XVI e di Papa Francesco, molti osservatori hanno intravisto una continuità amministrativa. In realtà, si tratta di un progetto di più ampia portata mirato a riaffermare la dimensione universale del messaggio cristiano nel digitale, dove oggi si formano le coscienze. Questo rappresenta un passaggio simbolico di rilievo: un ponte tra tre pontificati, tre visioni del mondo e tre stagioni della rivoluzione tecnologica. Benedetto XVI, nel 2012, aveva aperto il primo profilo su Twitter, inaugurando la presenza del papato nell’universo digitale. Francesco ne aveva ampliato la portata pastorale e comunicativa, utilizzando i social come un pulpito planetario dal quale parlare di pace, migrazioni e disuguaglianze. Leone XIV eredita questo strumento ma lo piega a una sfida più radicale: quella della sopravvivenza dell’umano in un mondo nel quale si affaccia l’intelligenza artificiale.

IL PROGETTO DELLA CONTINUITÀ

La decisione del nuovo Papa di proseguire sui social non va letta, quindi, come un gesto di routine. Si tratta di una scelta di campo, che afferma la continuità del messaggio evangelico anche nei linguaggi della contemporaneità. Gli account, tradotti in nove lingue e seguiti da oltre cinquantadue milioni di persone, sono oggi uno dei più grandi canali istituzionali di comunicazione al mondo. La loro permanenza testimonia la volontà della Chiesa di abitare lo spazio pubblico digitale non come spettatrice, ma come soggetto attivo. Il linguaggio di Leone XIV è sobrio, quasi ascetico, ma profondamente consapevole del potere dei simboli. La decisione di mantenere intatto l’account – anziché crearne uno nuovo – afferma che la figura del Papa, pur cambiando volto, rimane un segno di continuità. La rete, luogo per eccellenza della volatilità e dell’oblio, viene così trasformata in spazio di memoria condivisa.

EREDITÀ DIGITALE E RADICI SPIRITUALI

La presenza del papato sui social, iniziata nel 2012 con Benedetto XVI, si è evoluta da esperimento comunicativo a infrastruttura pastorale globale. Con Francesco, Twitter e Instagram sono divenuti strumenti di evangelizzazione e di diplomazia morale. Durante la pandemia del 2020, i contenuti pubblicati dal Papa argentino hanno raggiunto miliardi di visualizzazioni, diventando per molti un riferimento spirituale nel caos informativo e nell’isolamento sociale. Leone XIV eredita un patrimonio imponente e lo trasforma in terreno di discernimento. Se i suoi predecessori avevano usato i social come canale per parlare al mondo, egli sembra volerli usare per ascoltare il mondo: un laboratorio di osservazione, un luogo dove la Chiesa può comprendere l’umanità contemporanea. Ma l’eredità digitale non si esaurisce nella comunicazione. La sfida non è più soltanto quella di diffondere messaggi, ma di difendere la verità in un’epoca in cui l’informazione è manipolabile e la realtà può essere simulata. È in questo contesto che il discorso di Leone XIV sull’intelligenza artificiale assume una valenza politica di primo piano.

L’AI E LA NUOVA “QUESTIONE SOCIALE”

Il nuovo Papa ha più volte richiamato la figura di Leone XIII, autore nel 1891 della Rerum Novarum, testo fondativo della Dottrina sociale della Chiesa. Come il suo predecessore ottocentesco aveva affrontato le ferite della rivoluzione industriale, così Leone XIV si trova oggi a confrontarsi con le contraddizioni della rivoluzione digitale. Il suo approccio all’intelligenza artificiale non è apocalittico, ma lucidamente critico. Egli riconosce i benefici del progresso tecnologico in campo medico, educativo ed economico, ma denuncia con forza la velocità incontrollata con cui l’innovazione avanza, spesso senza un’adeguata riflessione etica. In una recente intervista, Leone XIV ha ammesso che sarà molto difficile scoprire la presenza di Dio nell’intelligenza artificiale. Non si tratta di un rifiuto del progresso, ma di un avvertimento: la tecnologia, se priva di un orientamento morale, può smarrire la dimensione del sacro e dissolvere la coscienza e la spiritualità dell’uomo. In questo senso si inserisce anche il rifiuto del Pontefice di creare un avatar digitale di sé stesso, ribadendo che il Papa non può essere rappresentato da un’immagine artificiale. In un’epoca in cui i confini tra persona e rappresentazione tendono a confondersi, questa presa di posizione ha un valore simbolico straordinario: la presenza non è replicabile, la parola non può essere sostituita da un algoritmo.

DA FRANCESCO A LEONE

Per comprendere pienamente la posizione del nuovo Pontefice sull’AI, è utile metterla in relazione con quella del suo predecessore Papa Francesco. Quest’ultimo aveva inaugurato una riflessione di ampio respiro, insistendo sull’urgenza di un’etica globale dell’intelligenza artificiale. In vari documenti e discorsi, aveva definito l’AI una tecnologia non neutra, capace tanto di emancipare quanto di opprimere. Il problema, per Francesco, non risiedeva nella macchina in sé, ma nel potere che l’uomo vi proietta. Il Papa argentino temeva che l’automazione potesse ampliare le disuguaglianze sociali e consolidare il dominio delle élite tecnologiche sui popoli. Da qui la proposta di un trattato internazionale vincolante che regolasse lo sviluppo dell’AI secondo principi di giustizia, equità e tutela della dignità umana. La sua enciclica Dilexit nos aveva sintetizzato questa visione in una formula tanto poetica quanto politica: nell’era dell’intelligenza artificiale, per salvare l’umano servono la poesia e l’amore. Leone XIV parte da quella eredità ma la declina in chiave più filosofica e teologica. Se Francesco aveva posto l’accento sull’etica dell’uso, per il nuovo Papa l’AI non è solo una questione morale, ma una sfida ontologica: che cosa significa essere umani in un mondo dove le macchine possono imitare il linguaggio, l’emozione, persino la creatività? La risposta di Leone XIV è netta: la macchina può imitare, ma non comprendere; può calcolare, ma non discernere; può riprodurre il linguaggio dell’amore, ma non amare. È qui che egli colloca il confine tra ciò che è umano e ciò che non lo è. In una società che tende a dissolvere le distinzioni, la Chiesa – afferma – deve essere maestra di differenze. Mentre Francesco vedeva nell’AI un campo di possibile cooperazione tra fede e scienza, Leone XIV vi riconosce un terreno di battaglia per la difesa della persona. L’AI, dice il Papa, non può essere lasciata a se stessa; occorre governarla affinché contribuisca a un ordine giusto delle relazioni sociali, non alla loro dissoluzione.

IL RISCHIO DI DISUMANIZZAZIONE

In uno dei suoi primi colloqui pubblici, Leone XIV ha denunciato la disumanizzazione del mondo digitale. Le fake news, i deepfake, la manipolazione delle immagini e delle opinioni non sono, per lui, effetti collaterali del progresso, ma sintomi di una malattia più profonda: la perdita del senso della verità. Quando la realtà diventa negoziabile e la menzogna si traveste da autenticità, la fede stessa rischia di diventare un simulacro. In un mondo dove ogni immagine può essere manipolata, la fiducia diventa un bene. E difendere la fiducia significa, per Leone XIV, difendere l’umano. In questo senso, il suo pontificato si apre con un gesto di resistenza culturale: rifiutare la duplicazione digitale del Papa equivale ad affermare che la verità non è un file replicabile. La tecnologia può aiutare, ma non può sostituire.

VERSO UN UMANESIMO DIGITALE CRISTIANO

Ciò che emerge dal confronto tra Francesco e Leone XIV è la progressiva maturazione del pensiero cattolico di fronte alla rivoluzione tecnologica. Se il primo ha posto le basi di un’etica della responsabilità, il secondo propone dei limiti fondati sulla centralità della persona e sulla consapevolezza che non tutto ciò che è possibile è anche lecito. Il nuovo Papa non teme di chiamare la tecnologia con il suo nome, né di denunciare gli interessi economici che la guidano. In un tempo in cui l’AI decide chi viene assunto, chi ottiene un prestito, chi ha visibilità sui social, la riflessione del Papa assume una valenza politica globale. Egli non si limita a chiedere un’etica dell’algoritmo (l’algoretica prospettata da Francesco), ma propone una riforma spirituale dell’uomo digitale. L’umanesimo digitale di Leone XIV rappresenta la convinzione che anche nell’epoca delle intelligenze artificiali l’uomo resti chiamato a custodire ciò che nessuna macchina potrà mai riprodurre: la libertà, la responsabilità, la capacità di amare e di perdonare. Il pontificato di Leone XIV si apre, dunque, sotto il segno della continuità e della vigilanza. Continuità con i predecessori, che hanno portato la Chiesa nel cuore del mondo digitale; vigilanza di fronte a un futuro in cui la tecnica rischia di sostituirsi all’uomo. La sua voce, ferma ma priva di allarmismo, invita a una nuova alleanza tra fede e ragione, tra innovazione e coscienza. Se Benedetto XVI aveva introdotto la Chiesa nella rete e Francesco ne aveva fatto una piattaforma pastorale, Leone XIV la trasforma in un campo di discernimento morale. E nel farlo, ricorda al mondo che la vera intelligenza non è artificiale, ma umana e spirituale: quella che sceglie, ama, giudica e perdona.